Escluso l’incasso giuridico in caso di prescrizione del diritto del socio a percepire il dividendo deliberato
di Leonardo Arienti, Avvocato in Bologna
Articolo tratto dal n. 1/2021 della rivista “Trusts e Attività Fiduciarie”
La prescrizione del diritto di credito del socio derivante da una delibera di distribuzione di dividendi non può essere equiparata ad una rinuncia agli stessi e, di conseguenza, l’intervenuta prescrizione non comporta l’“incasso giuridico” del relativo credito. Questo è il principio a fondamento della sentenza della Commissione tributaria regionale Friuli-Venezia-Giulia del 3 febbraio 2020, n. 19, che ha affermato la non assoggettabilità a tassazione della prescrizione del diritto alla percezione del dividendo da parte del socio, disponente e beneficiario del trust nel quale è stata conferita la partecipazione, e la corretta registrazione operata dalla società che ha appostato l’estinzione del debito tra le riserve di utili facenti parte del patrimonio netto, con contestuale applicazione dell’imposta in capo al socio solo in caso di distribuzione delle riserve di patrimonio netto.
The expiry of the five-year prescription period of the shareholder’s right to credit resulting from a resolution to dividends cannot be associated to a waiver of the same and, consequently, the intervening statute-barred limitation does not entail the “incasso giuridico” of the relating credit. This is the principle underlying the ruling of the Friuli-Venezia-Giulia Regional Tax Commission of 3 February 2020, no. 19, which stated that the prescription period of the right of the shareholder – both settlor and beneficiary of the trust into which the shares were contributed – to credit resulting from a resolution to dividends cannot be subject to taxation and that the company has correctly registered the debt among the reserves of profits forming part of shareholders’ equity with the possible future application of the tax to the shareholder only in the event of distribution of the reserves of shareholders’ equity.
Il caso esaminato
La sentenza di merito[1] ha ad oggetto un avviso di accertamento mediante il quale l’Agenzia delle entrate di Udine contestava a Tizio l’omessa dichiarazione relativa all’anno 2010 dei dividendi deliberati in data 3 giugno 2005 dalla società Alfa S.r.l. per un valore di euro 6.271.000.
Dalla sentenza emerge che Tizio, destinatario dell’atto di accertamento, è il disponente e beneficiario del trust “The T. Trust” avente, tra l’altro, lo scopo di avvicendamento generazionale tra i soggetti beneficiari, padre Tizio e le figlie.
Tra i beni conferiti in trust vi era la partecipazione di controllo della società Alfa S.r.l., conferita in detto trust in data successiva alla delibera di distribuzione dei dividendi del 3 giugno 2005.
Per motivi non chiariti dalla sentenza, né Tizio né il trustee del “The T. Trust” incassavano mai i dividendi deliberati che pertanto permanevano nella disponibilità esclusiva della società, la quale in data 30 luglio 2010, al compimento del termine quinquennale di prescrizione del diritto del socio a percepire il dividendo previsto dall’art. 2949 c.c.[2], registrava l’estinzione del debito della società verso il socio appostando tale somma tra le riserve di patrimonio netto alla voce “versamenti soci in conto capitale”.
L’Agenzia delle entrate ha ritenuto che tale allocazione avrebbe comportato un salto di imposta in capo al socio in quanto, alla estinzione del diritto alla percezione dei dividendi non riscossi e dunque rinunciati da parte del contribuente, si dovesse comunque applicare il principio del c.d. incasso giuridico con contestuale assoggettamento a tassazione della relativa somma.
La Commissione tributaria provinciale di Udine, con sentenza n. 431/1/2016, accoglieva il ricorso del contribuente statuendo la corretta registrazione da parte della società del debito verso il socio che una volta estinto per intervenuta prescrizione è stato correttamente registrato tra le riserve di patrimonio netto, tassate ai sensi dell’artt. 45 e 47 del T.U.I.R. in capo al socio per cassa solamente al momento della distribuzione delle medesime e dunque non nel momento della presunta rinuncia del socio alla percezione dei dividendi.
La sentenza di primo grado veniva poi appellata dall’Ufficio in base dell’assunto che i dividendi non riscossi debbano considerarsi comunque rinunciati dal contribuente e assoggettati a tassazione in base al principio del c.d. incasso giuridico, così come previsto dalla C.M. n. 73/E del 27 maggio 1994, la quale afferma che la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa, presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e, quindi, l’obbligo del contribuente di indicare in dichiarazione tale ammontare per assoggettarlo a tassazione.
A sostegno della propria tesi, l’Ufficio richiama anche l’ordinanza della Corte di cassazione 26 gennaio 2016, n. 1335 che ha avvallato l’esistenza del principio dell’incasso giuridico in caso di rinuncia da parte degli amministratori all’indennità di fine manato.
Sotto un ulteriore profilo, l’Ufficio eccepisce inoltre che il contribuente abbia invero esercitato un’esplicita rinuncia al proprio diritto di credito nel momento del conferimento in trust delle partecipazioni prima dallo stesso detenute. Infatti, secondo l’Ufficio, avendo il disponente continuato a detenere il pieno controllo della società Alfa S.r.l., essendo egli anche beneficiario del trust sino alla propria morte ed essendosi riservato alcuni poteri gestori e dispositivi, sarebbe risultato evidente che la distinzione tra rinuncia al credito o estinzione dello stesso sarebbe risultata strumentale.
I giudici della Commissione tributaria regionale confermano però la sentenza di primo grado.
In primo luogo il giudice di appello sembra confermare la “meritevolezza” del trust istituito per finalità di passaggio generazionale tra padre e figlie precisando inoltre che l’Ufficio erra nel sostenere che nella sostanza il contribuente abbia esercitato una rinuncia, anche implicita, al diritto di credito per il solo fatto di aver istituto il trust “The T. Trust” ed aver continuato a ricoprire le cariche sociali in Alfa S.r.l., qualificando come arbitraria la ricostruzione effettuata dell’Ufficio.
In secondo luogo, la Commissione tributaria di Trieste sancisce la corretta registrazione da parte della società Alfa S.r.l. del debito per i dividendi deliberati sino al compimento della prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c. per poi essere qualificato come aumento del patrimonio netto della società.
La decisione della Commissione tributaria regionale Friuli-Venezia-Giulia, del 3 febbraio 2020, n. 19
La Commissione giudicante ritiene che nel caso in esame non si sarebbe assistito ad alcun salto d’imposta e, conseguentemente, a nessun caso incasso giuridico dei crediti rinunciati.
In particolare, la Commissione friulana ha rilevato che la C.M. n. 73/E del 27 maggio 1994 afferma in effetti che la rinuncia a crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa presupponendo l’avvenuto incasso giuridico del credito con conseguente obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, ma non prende in considerazione la rinuncia ai dividendi.
Secondo la Commissione tributaria regionale ciò in quanto il salto di imposta che impone l’applicazione della teoria dell’incasso giuridico può verificarsi solamente nel caso rinuncia da parte del socio a somme che sono state dedotte dal reddito della società in base al principio di competenza, cosa che non si verificherebbe con i dividendi.
Inoltre, la Commissione tributaria regionale rileva che essendoci stata prescrizione del relativo credito, non ci sarebbe stata rinuncia da parte del socio, non facendo la prescrizione – poiché istituto diverso dalla rinuncia – emergere alcuna sopravvenienza attiva. Dunque, la società avrebbe operato correttamente registrando l’estinzione per prescrizione ex art. 2949 c.c. del relativo debito verso il socio tra le riserve di utili facenti parte del patrimonio netto e dunque, solo in caso di distribuzione delle riserve di patrimonio netto ai soci si sarebbe verificato un presupposto imponibile ed il socio sarebbe stato tenuto al versamento della relativa imposta.
Secondo la Commissione tributaria regionale, operando diversamente, si verificherebbe una doppia imposizione dello stesso reddito in quanto tale utile, tassato una prima volta in base alla tesi dell’incasso giuridico, sarebbe poi successivamente tassato una seconda volta come sopravvenienza attiva.
La disciplina fiscale della rinuncia ai crediti
La disciplina fiscale applicabile alla rinuncia ai crediti da parte dei soci è oggi disciplinata dall’art. 88 del T.U.I.R. rubricato “Sopravvenienze attive”[3].
In precedenza, tale norma era prevista ante-riforma ex D.Lgs. n. 44/2003, dall’art. 55 del T.U.I.R.[4]. Tale articolo, a decorrere dal 1994 (in seguito alla riforma introdotta dal D.L. n. 557/1993), ha esteso la disciplina che escludeva dal novero delle sopravvenienze attive le rinunce da parte dei soci ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti, anche alle altre rinunce di crediti di qualsiasi natura[5].
La ratio della modifica legislativa risiedeva nella volontà di salvaguardare l’integrità patrimoniale della società derivante dalla rinuncia al credito, evitando di tassare la sopravvenienza da quest’ultima riveniente.
In base a tale sistema, gli effetti della rinuncia al credito da parte del socio erano irrilevanti sotto il profilo fiscale, essendo tale rinuncia considerata un’operazione meramente patrimoniale per la società.
Tale situazione creava quella che, secondo l’Amministrazione finanziaria, era un’asimmetria impositiva o un vuoto impositivo che avrebbe potuto comportare un salto d’imposta[6].
In particolare, il costo relativo al credito rinunciato poteva essere dedotto da parte della società secondo le regole del reddito d’impresa (i.e. competenza) e parimenti non poteva essere tassato in capo al socio in base alle regole del reddito delle persone fisiche (i.e. cassa).
In caso di rinuncia, la somma sarebbe potuta essere contabilizzata dalla società come apporto di patrimonio, senza essere così tassata in capo al socio rinunciante.
La tesi all’incasso giuridico
Per ovviare a tale asimmetria impositiva, l’Amministrazione finanziaria con la C.M. n. 73/E del 27 maggio 1994[7] ha dunque assoggettato a tassazione tali rinunce prevedendo il c.d. incasso giuridico dei relativi crediti. In pratica, l’Amministrazione finanziaria ha previsto, in base ad una fictio iuris volta ad evitare, a dire dell’Agenzia, eventuali asimmetrie fiscali, che la rinuncia del socio al credito vantato nei confronti della società fosse fiscalmente equiparabile all’incasso dello stesso in capo al socio rinunciante[8].
In verità, l’Amministrazione finanziaria nella C.M. n. 73/E del 27 maggio 1994, sembrerebbe voler limitare la portata di tale principio. Essa precisa infatti che la tesi dell’incasso giuridico debba applicarsi nel caso di rinuncia a crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi ai finanziamenti dei soci) e dunque, a somme che sono state portate in deduzione dal reddito della società.
Sebbene la tesi dell’incasso giuridico sia stata contrastata dalla maggior parte della Dottrina[9] e da numerose sentenze di merito[10], la Corte di cassazione ha avallato in differenti occasioni la teoria dell’incasso giuridico, ed in particolare, nel caso di rinunce a crediti aventi ad oggetto: (i) compensi per royalties spettanti al socio di maggioranza (sentenza n. 26842/2014), (ii) indennità di fine mandato spettanti a due soci-amministratori (ordinanza n. 1335/2016) e (iii) interessi maturati su un finanziamento (ordinanza n. 2057/2020).
La rinuncia ai crediti da parte dei soci e la riforma del 2015
Più recentemente, la norma è stata radicalmente riformata dall’art. 13, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 147/2015 (“Decreto internazionalizzazione”).
Il decreto ha sostituito il comma 4 dell’art. 88 del T.U.I.R. introducendo i commi 4-bis e 4-ter nonché novellato l’art. 9, comma 6 e l’art. 101, comma 7, del T.U.I.R. La riforma ha sostanzialmente mutato il sistema previgente che qualificava come operazione meramente patrimoniale e fiscalmente irrilevante la rinuncia al credito da parte del socio destinata alla patrimonializzazione della società[11].
Al contrario, la normativa attualmente in vigore qualifica come sopravvenienza attiva la rinuncia ai crediti da parte dei soci soltanto per la parte eccedente il relativo valore fiscale, il quale, se non comunicato dal socio alla partecipata, si presume pari a zero.
È stato inoltre confermato che l’ammontare della rinuncia si aggiunge al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, e non è ammesso in deduzione, ma nel limite del valore fiscale dei crediti.
In tale contesto, la tassazione è ora ricondotta alla società beneficiaria della rinuncia evitando così di assoggettare a tassazione il socio rinunciante.
Rinuncia a crediti da parte del socio e prescrizione
La qualificazione civilistica della rinuncia al credito da parte del socio è stata oggetto di dibattito dottrinale.
Secondo un orientamento la tale rinuncia doveva ritenersi riconducibile all’istituto della remissione del debito. L’orientamento opposto divenuto poi prevalente, riteneva che essa dovesse essere ricondotta ad una rinuncia.
Sotto il profilo civilistico, la remissione del debito è un negozio unilaterale recettizio (dunque l’effetto estintivo si perfeziona al momento della comunicazione al debitore della volontà del creditore) previsto dall’art. 1236 c.c. mediante il quale il creditore rinuncia al credito di cui è titolare, estinguendo definitivamente così la relativa obbligazione[12].
Al contrario, la rinuncia al credito non è tipizzata e si configura, secondo le singole ipotesi di rinuncia previste dal Codice civile (ex artt. art. 1238 c.c. – rinunzia alle garanzie, art. 1311 c.c. – rinunzia alla solidarietà ed art. 2937 c.c. – rinunzia alla prescrizione), come negozio non recettizio, puramente abdicativo e volto alla dismissione del diritto, senza relativa estingue l’obbligazione.
Anche l’Amministrazione finanziaria si è espressa a tal proposito con la risoluzione n. 124/E del 13 ottobre 2017, mediante al quale ha affermato che “appare corretto ritenere che la rinuncia del credito da parte di un socio sia espressione della volontà di patrimonializzare la società e che, pertanto, non possa essere equiparata alla remissione di un debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale. In altri termini, la rinuncia presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene comunque ‘utilizzato’, sia pure con atto di disposizione avente natura di rinuncia”.
Alla luce di quanto sopra, la rinuncia al credito da parte del socio genererebbe una sopravvenienza attiva dovuta per l’appunto alla cancellazione da parte della società del debito verso il socio e successivo “riutilizzo” da parte della società dello stesso. Ciò in quanto, potrebbe essere considerata come espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società. Rinunciando ai suoi crediti il socio dunque non sembrerebbe estinguere l’obbligazione ma essa si tramuterebbe in un rapporto giuridico differente[13].
Diverso deve ritenersi il caso della prescrizione dell’obbligazione[14].
In buona sostanza, secondo la dottrina prevalente l’istituto risponde ad una finalità di ordine pubblico, trovando fondamento nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
La prescrizione estingue il diritto non fatto valere in tempo utile.
Secondo l’opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza il non esercizio non deve essere considerato come una manifestazione di volontà a contenuto negativo, per cui risultano irrilevanti la volontarietà dell’inerzia e le situazioni di impossibilità soggettiva.
In considerazione di ciò, l’estinzione del diritto di credito del socio, al contrario della rinuncia, non genererebbe una sopravvenienza attiva dovuta alla cancellazione da parte della società del debito verso il socio e successivo “rimpiego” da parte della società dello stesso. Ciò poiché l’estinzione non potrebbe essere considerata come espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società.
Dunque, con la prescrizione del diritto al dividendo, la società sarà legittimata a registrare il quantum tra le riserve di utili facenti parte del patrimonio netto.
Considerazioni conclusive
La sentenza in commento, sebbene abbia ad oggetto una “rinuncia” del socio ai crediti effettuata in vigenza dell’art. art. 88, comma 4, del T.U.I.R. e non prenda specifica posizione in merito alla non interponibilità tra il trust “The T. Trust” ed il disponente, risulta essere particolarmente interessante sotto un duplice profilo.
Il primo, afferma che la prescrizione del diritto del socio alla percezione dei dividendi non possa essere assoggettata alla teoria dell’incasso giuridico in quanto, tale “rinuncia” ai dividendi non sarebbe comunque equiparabile alla “rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa” (indicato dalla C.M. n. 73/E del 27 maggio 1994) poiché i dividendi corrispondono a somme che non sono state portate a deduzione dal reddito di esercizio della società cosicché la rinuncia ai medesimi, non costituirebbe in tal caso un salto di imposta.
Il secondo, astrattamente applicabile anche nell’attuale contesto normativo post riforma del 2015 dell’art. 88 T.U.I.R., sancisce la non applicabilità della disciplina relativa alla rinuncia del credito nel caso di prescrizione del relativo diritto. Ciò in quanto essendo la prescrizione del diritto di credito ex art. 2949 c.c. un istituto giuridico sostanzialmente diverso dalla rinuncia al diritto di credito essa, a differenza di quanto avviene per la rinuncia, non potrebbe essere considerata come espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società.
[1] Sentenza della Commissione tributaria regionale Friuli-Venezia-Giulia, del 3 febbraio 2020, n. 19.
[2] Articolo rubricato “Prescrizione in materia di società” in base al quale si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese.
[3] Articolo rubricato “Sopravvenienze attive” nel Testo post riforma 2004 attuata per mezzo del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.
[4] In base al comma 4 dell’art. 55 del T.U.I.R. (versione in vigore dal 1° gennaio 1994 al 1° gennaio 2004) “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società in nome collettivo o in accomandita semplice dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti”.
[5] Stevanato, “Le rinunce dei soci ai credit per somme dedotte dalla società: se il reddito del socio è imponibile per ‘cassa’ si può evitare un salto d’imposta?”, in Rass. trib., n. 10/1994; Lupi, “Versamenti a fondo perduto e rinunce ai crediti dei soci nell’imposizione sui redditi”, in Boll. trib., II, 1992, pag. 106.
[6] Silingardi, “Rinuncia ai crediti da parte dei soci: punibili le operazioni elusive”, in Corr. Trib., n. 26/2001.
[7] Circolare del 27 maggio 1994 ,n. 73 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. I, risposte a quesiti formulati in occasione di Telefisco 94, art. 3.20 “Rinuncia ai crediti da parte dei soci” secondo la quale: “l’art. comma 1, lett. g) e m), del D.L. n. 557/1993, convertito dalla Legge n. 133/1994 ha modificato l’art. 55, comma 4, e l’art. 61, comma 5, del T.U.I.R., nel senso che ha esteso la disciplina precedentemente prevista per la rinuncia ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti alla rinuncia ai crediti di qualsiasi natura. Tale modifica riguarda anche i crediti che derivano ai soci da prestazioni di servizi, i cui redditi, in ipotesi, sono tassati per cassa?” In risposta la circolare prevede che: “per effetto delle norme indicate nel quesito, la disciplina prevista dall’art. 61, comma 5, e dall’art. 55, comma 4, del T.U.I.R., per la rinuncia dei soci ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti e “stata estesa ai crediti di qualsiasi natura, considerato che, come è dato chiarito nella relazione ministeriale “non si giustifica … che solo nel caso in cui il credito, al quale il socio rinuncia, derivi da un precedente finanziamento, lo stesso possa essere patrimonializzato”.
Pertanto, tutti i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione, ai sensi dell’art. 61, comma 5, del T.U.I.R., i quali, per la società non costituiscono sopravvenienze attive, così come dispone l’art. 55, comma 4, del T.U.I.R. Naturalmente la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci)presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta”.
[8] Cagnoni – D’Ugo – Germani, “L’insostenibilità della tesi dell’incasso giuridico in assenza di concreto vantaggio economico in capo al rinunciate”, in il fisco, n. 12/2018.
[9] Stevanato, “Le rinunce dei soci ai crediti per somme dedotte dalla società: se il reddito del socio è imponibile per ‘cassa’ si può evitare un salto d’imposta?”, in Rass. trib., n. 10/1994; Del Federico, “Profili fiscali della rinuncia dei credit da parte dei soci”, in il fisco, n. 38/1994; Miele – Busata, “Rinunce dei soci ai credit e incasso giuridico”, in Bilancio e reddito d’impresa, n. 12/2017; Gaiani, “La rinuncia ai credit dei soci-amministratori non genera sopravvenienze attive”, in il fisco, n. 43/2017; Gavioli, “Indennità di trattamento fne mandato: la rinuncia va tassata se il socio è esterno alla compagine sociale”, in Pratica Fiscale e Professionale, n. 44/2017; AIDC, Norma di comportamento n. 201/2018; Gavelli – Giommoni, “La rinuncia del socio-amministratore al trattamento di fine mandato”, in Corr. Trib., n. 1/2018; Cagnoni – D’Ugo – Germani, “L’insostenibilità della tesi dell’incasso giuridico in assenza di concreto vantaggio economico in capo al rinunciate”, in il fisco, n. 12/2018.
[10] Comm. trib. prov. Emila Romagna, Reggio Emilia 15 ottobre 2018, n. 197; Comm. trib. regionale Lombardia, Milano, Sez. XIV, sent., 29 gennaio 2018, n. 354.
[11] Giommoni, “La rinuncia dei finanziamenti soci: aspetti contabili, civilistici e fiscali”, in Dir. soc., n. 5/2015; Del Federico, “Profili fiscali della rinuncia dei crediti da parte dei soci”, in il fisco, n. 38/1994.
[12] Benedet, “Struttura della remissione. Spunti per una dottrina del negozio unilaterale”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1962, pag. 1291 ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009; Galgano, Trattato di diritto civile, volume secondo, terza edizione, CEDAM, 2014.
[13] In tal senso, cfr. Cass. n. 26842/2014 oltre che Giommoni, “La rinuncia dei finanziamenti soci: aspetti contabili, civilistici e fiscali”, in Dir. soc., n. 5/2015; Andreani – Tubelli, “Il nuovo regime fiscale delle rinunce dei soci ai credit si discosta dalla loro effettiva natura”, in il fisco, n. 23/2015.
[14] Carnelutti, “Appunti sulla prescrizione”, in Riv. It. Scienze Giur., 1904, XXXVII, 221; Panza, Contributo allo studio della prescrizione, Napoli, 1984.