I finanziamenti effettuati dal socio per il tramite di una società fiduciaria operante ai sensi della legge n. 1966 del 1939, sebbene nella forma siano qualificabili come “finanziamenti di terzi con obbligo di restituzione”, nella sostanza sono finanziamenti effettuati indirettamente dal socio, proprietario sostanziale del rapporto.
Ciò in quanto nell’attività di amministrazione fiduciaria di beni per il tramite di società fiduciarie di cui alla legge n. 1966 del 1939, le società fiduciarie sono titolari formali e non sostanziali dei beni amministrati.
Il tal caso i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alle società ed a queste strumentalmente intestati, in caso di capitali conferiti a società fiduciarie lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti.
I finanziamenti effettuati per il tramite di una società fiduciaria risultano nelle contabilità della società finanziata come “finanziamenti di terzi con obbligo di restituzione” e non come “conferimenti” o “finanziamenti di soci”. Ciò trovava piena giustificazione proprio nel fatto che i finanziamenti erogati per il tramite di società fiduciaria sono erogati da soggetti che (formalmente) non rivestono la qualità di socio, quindi terzi.
In tal caso il dato formale del “finanziamenti di terzi con obbligo di restituzione” non è comunque dato di per sè sufficiente a far presumere il venir meno del rapporto fiduciario di amministrazione di beni di terzi.
Sul tema si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8071 del 21 marzo u.s che si riporta in calce per esteso.
Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24/01/2023) 21-03-2023, n. 8071
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 27722-2016 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12. – ricorrente –
contro
A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Sergio Leonardi, giusta delega in calce al controricorso, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Viale Regina Margherita, n, 22. – controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’ABRUZZO sez. staccata di Pescara, n. 460/07/2016, depositata il 6 maggio 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2023 dal Consigliere Lunella Caradonna.
Svolgimento del processo
- L’Agenzia delle Entrate di (Omissis), sulla base delle risultanze di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza nei confronti di A.A., compendiata in apposito p.v.c., da cui era emerso l’esercizio da parte del contribuente di un’attività creditizia in completa evasione di imposta, aveva accertato induttivamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, 55, comma 1, in relazione all’anno di imposta 2007, un maggior reddito di impresa ai fini IRPEF, addizionale regionale e comunale nonchè maggiori ricavi a fini IVA, che aveva recuperato a tassazione, irrogando le relative sanzioni.
- La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con sentenza n. 491 del 16 giugno 2014, riunite le separate impugnazioni proposte dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (Omissis), notificato una prima volta, ma erroneamente, in data 24 ottobre 2012 ed una seconda volta in data 13 novembre 2012, a mani proprie, aveva accolto i ricorsi ed annullato l’atto impositivo.
- La Commissione tributaria regionale, adita da entrambe le parti, ha rigettato l’appello principale proposto dall’Agenzie delle Entrate e quello incidentale proposto dal contribuente, compensando le spese di lite.
- La Commissione tributaria regionale, per quel che rileva in questa sede, in relazione ai profili di merito della vicenda in esame, ha ritenute infondate le censure dell’Ufficio, rilevando che:
-) l’Agenzia delle entrate, sulla scorta anche di quanto ravvisato dalla Guardia di Finanza nel processo verbale di constatazione, aveva ritenuto “la regolarità delle operazioni finanziarie avvenute infragruppo”, escludendo, invece, la regolarità di quelle poste in essere nei confronti delle altre società, non ricomprese nel “Gruppo A.A.”;
-) nell’avviso di accertamento impugnato, tuttavia, si affermava (pag. 4, prima alinea) che: “… l’esame dei rapporti finanziari tra il Sig. A.A. e le altre società non appartenenti al Gruppo (C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl ) le cui quote sono detenute dal A.A. per il tramite di società fiduciarie, ha evidenziato l’esercizio abusivo di un’attività finanziaria da parte del contribuente, avente natura imprenditoriale, per la sistematicità con cui detti finanziamenti venivano erogati”;
-) si trattava di affermazioni contraddittorie, perchè se era vero che le quote delle società da ultimo indicate “sono detenute dal A.A. per il tramite di società fiduciarie”, allora esse andavano “fiduciariamente” ricondotte al “Gruppo A.A.” e, quindi, le operazioni di finanziamento effettuate nei confronti di quelle società, effettuate per il tramite di società fiduciarie riconducibili al A.A., dovevano sottostare allo stesso trattamento riservato alle operazioni di finanziamento effettuate “direttamente” alle società a quello riconducibili, escludendo che in relazione alle prime il A.A. avesse svolto attività creditizia abusiva;
-) a diversa conclusione non potevano condurre gli elementi emersi nel corso della verifica fiscale, che l’Agenzia delle entrate aveva sostenuto non erano stati correttamente valutati dal giudice di primo grado;
-) in particolare, l’ingente disponibilità economica del A.A. risultante dalle movimentazioni bancarie, incompatibile con la complessiva capacità contribuiva del medesimo, era circostanza non univoca, posto che analoga considerazione poteva e doveva valere anche per le ipotesi di finanziamento alle società del Gruppo;
-) la circostanza che quei finanziamenti risultavano nelle contabilità di quelle società come finanziamenti di terzi con obbligo di restituzione e non come conferimenti o finanziamenti di soci, dei quali non si faceva menzione nei verbali di assemblea o nella nota integrativa, trovava giustificazione proprio nel fatto che i finanziamenti venivano erogati da soggetti che quella qualità (di socio) nell’ambito della società finanziata non avevano e, quindi, regolarità contabile voleva che l’appostazione venisse effettuata con le modalità indicate;
-) il dato formale in esame non era in sè sufficiente a far presumere lo svolgimento di un’attività creditizia, perchè smentita dal dato sostanziale (ammesso dalla stessa Agenzia delle entrate) della partecipazione fiduciaria del A.A. nelle società che effettuavano il finanziamento;
-) l’Ufficio non aveva mai negato che i finanziamenti erano stati effettuati tramite società fiduciarie riconducibili al contribuente, limitandosi a sostenere che le stesse andavano qualificate come operazioni creditizie abusive solo per la presenza di un dato formale (la qualificazione delle operazioni come “finanziamento di terzi”), da sè solo però insufficiente e smentito sul piano sostanziale;
-) dalle risultanze processuali non era emerso che dette operazioni di finanziamento avessero finalità speculative e che vi fossero stati dei rimborsi, con aggravio di interessi;
-) al di fuori dei soggetti giuridici sopra elencati non risultavano operazioni di finanziamento verso altri (in particolare di soggetti davvero terzi rispetto al A.A. e alle sue società), difettando, nella specie, tutti i presupposti caratterizzanti l’attività creditizia contestata al contribuente, che proprio per questa ragione, era l’Ufficio a dovere dimostrare, diversamente da quanto sostenuto.
- L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
- A.A. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
- Il primo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 2359 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993 (TUB), artt. 2697, 2195 c.c. ed art. 55 TUIR n. 917/1986 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). A.A. non poteva essere considerato socio delle società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl (la qualifica di socio potendo essere riconosciuta esclusivamente alle società fiduciarie attraverso le quali il A.A. deteneva le partecipazioni nelle società medesime) e, di conseguenza, i finanziamenti sostanzialmente erogati alle società indicate dal A.A. non potevano essere considerati eseguiti nella qualità di socio per mancanza dei requisiti richiesti dal codice civile e dalla delibera del Comitato interministeriale per il Credito ed il Ri Spa rmio, emanata in attuazione del D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico leggi bancarie), nè ricondotti ad operazioni infragruppo per mancanza dei presupposti normativi dettati dall’art. 2359 c.c.. In considerazione del fatto che il pactum fiduciae, comportante la nascita tra fiduciante e fiduciario di un rapporto di mandato all’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione societaria diretto a conseguire un’amministrazione della partecipazione medesima disgiunta dalla titolarità effettiva, era volto unicamente a governare la dinamica interna del rapporto, senza alcuna possibilità di rilevanza all’esterno, che la proprietà del bene restava acquisita in capo al soggetto interposto, ad ogni effetto di legge, e che il patto interno, di portata meramente obbligatoria, non era opponibile ai terzi, doveva ritenersi che la qualità di socio poteva essere riconosciuta soltanto all’effettiva proprietà dei titoli, ossia alla società fiduciaria, attesa l’inopponibilità di ogni diverso accordo avente efficacia esclusivamente interna perchè posto solo a tutela degli assetti patrimoniali di fiduciante e fiduciario e che per questi motivi, solo la società fiduciaria era il soggetto legittimato ad esercitare la funzione di socio. Inoltre i finanziamenti erogati non potevano essere rivendicati da parte del A.A. quali eseguiti nell’ambito dello stesso gruppo imprenditoriale ex art. 2359 c.c., come aveva anche erroneamente riconosciuto la sentenza impugnata perchè i finanziamenti eseguiti dal A.A., pur riconoscendogli la titolarità delle quote, erano stati eseguiti fuori dal mandato fiduciario e non nell’esercizio della funzione di socio la quale, spettava, in modo esclusivo, alle fiduciarie che rivestivano tale figura essendo soggetti iscritti a libro soci e ai titolari dei diritti scaturenti dalle partecipazioni in amministrazione fiduciaria; le società del gruppo A.A. non avevano alcun controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c., in quanto le società finanziate non facevano parte di un gruppo di imprese, non essendo stata provata un’attività di “Direzione e coordinamento” da parte di una delle società finanziatrici, tantomeno, risultava presentata alla c.c.I.A.A. la comunicazione di tale assoggettamento. I finanziamenti di A.A., dunque, non erano stati effettuati in qualità di socio e non erano stati effettuati nell’ambito di un gruppo societario. La natura dei rapporti partecipativi tra il A.A. e le società in questione (estranee al gruppo) permettevano, dunque, di concludere che i finanziamenti erogati non potevano avere la natura di finanziamento soci, essendo soltanto le società fiduciarie e gli altri soggetti interposti nella partecipazione delle quote a poter esercitare tutti i diritti e obblighi discendenti dallo status di socio. Il A.A., avendo posto in essere finanziamenti senza il rispetto dei presupposti normativi che regolavano le modalità di finanziamento delle società, aveva creato un sistema finanziario parallelo ai canali ufficiali, in totale evasione d’imposta, evitando, per l’approvvigionamento delle risorse aziendali, il ricorso ai soggetti abilitati (banche, società finanziarie ecc.) i quali erano i soli organi deputati all’esercizio sia della raccolta di denaro che dell’attività di finanziamento, come previsto dal D.Lgs. n. 385 del 1993 T.U.B. La sentenza impugnata, riconoscendo la legittimità fiscale dell’operato del contribuente, ha, di fatto, riconosciuto la legittimità di un’attività di raccolta fondi e di finanziamento da parte di un soggetto al di fuori delle modalità e requisiti previsti dal Testo Unico Bancario, violandone, pertanto, il dettato normativo.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Deve premettersi che, secondo la prospettazione erariale, l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione ha tratto origine da una verifica fiscale svolta dalla Guardia di Finanza, nei confronti di A.A., che ha fatto seguito ad una distinta attività di controllo svolta nei confronti della società Opus Sapientia Dei ed Mariae Iri School College Srl , le cui quote partecipative al capitale sociale erano detenute dal A.A. e dalla di lui coniuge A.A.. In tale sede, era stato accertato che tali società, nel periodo 2003-2007, avevano effettuato consistenti finanziamenti in favore di altre società, attraverso conferimenti infruttiferi operati dal socio A.A.. L’attività di controllo eseguita dalla Guardia di Finanza, per agli anni 2004-2008 e l’esame della documentazione bancaria acquisita, unitamente alle informazioni reperite in sede di verifica fiscale nei confronti della società Opus Sapientia Dei ed Mariae Iri School College Srl , avevano evidenziato la presenza di consistenti finanziamenti da parte del A.A. nei confronti di diverse compagini societarie, che erano state suddivise dai verificatori in due categorie: società aderenti al “Gruppo A.A.” e società estranee a detto raggruppamento, per le quali le compagini societarie non palesavano una rete di partecipazioni incrociate tali da ricondurle al gruppo; veniva accertata la regolarità delle operazioni finanziarie avvenute infragruppo, ove il A.A., attraverso conferimenti infruttiferi, aveva riversato le risorse finanziarie acquisite dagli istituti bancari nella Opus Sapientia Dei ed Mariae Iri School College Srl , che, poi, avevano gestito il flusso e la ripartizione verso le altre società del gruppo per lo sviluppo delle attività esistenti e/o per la realizzazione di nuove attività produttive; viceversa, l’esame dei rapporti finanziari tra il A.A. e le altre società non appartenenti al gruppo (e, in particolare, le società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl ), aveva evidenziato “l’esercizio abusivo di un’attività finanziaria da parte del contribuente, avente natura imprenditoriale, per la sistematicità con cui detti finanziamenti venivano erogati” e specificamente l’esercizio di “un’attività creditizia identificabile con il codice attività (Omissis) non dichiarata dal contribuente, esercitata in completa evasione di imposta senza porre in essere alcun adempimento di natura contabile previsto per la specifica attività dalla normativa tributaria e civilistica”. La Guardia di Finanza, poi, ai fini della ricostruzione della base imponibile da recuperare a tassazione, aveva preso in considerazione le movimentazioni risultanti dai conti correnti bancari personali del A.A., che avevano evidenziato ingenti movimenti di contanti in addebito e in accredito per i quali il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione. In particolare, il A.A. non era stato in grado di dimostrare, nè in sede di verifica, nè nella successiva memoria al p.v.c., la provenienza del denaro contante accreditato sui propri conti, nè la destinazione dei prelevamenti in contanti effettuati.
1.3 Ciò posto, la Commissione tributaria regionale ha affermato che:
1) la stessa Agenzia delle Entrate aveva affermato nell’avviso di accertamento (a pag. 4, prima alinea) che il A.A. deteneva le quote delle società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl per il tramite di società fiduciarie e che, dunque, anche le operazioni di finanziamento poste in essere nei confronti di dette società dovevano essere ricondotte al “Gruppo A.A.” e sottostare allo stesso trattamento riservato alle operazioni di finanziamento effettuate “direttamente” alle società riconducibili al A.A., con la conseguente esclusione, anche per dette operazioni di finanziamento, dello svolgimento di una attività creditizia abusiva;
2) la prova dell’esercizio abusivo dell’attività finanziaria da parte del A.A. non poteva ricavarsi dal fatto che i finanziamenti risultavano nelle contabilità delle società finanziate come finanziamenti di terzi con obbligo di restituzione e non come conferimenti o finanziamenti di soci, dei quali non si faceva menzione nei verbali di assemblea o nella nota integrativa, in quanto si trattava di un dato formale non sufficiente a far presumere lo svolgimento di un’attività creditizia, peraltro smentito dal dato sostanziale (ammesso dalla stessa Agenzia delle entrate) della partecipazione fiduciaria del A.A. nelle società che effettuavano il finanziamento; 3) le risultanze processuali non avevano evidenziato che tali operazioni di finanziamento avessero finalità speculative e che vi fossero stati dei rimborsi, con aggravio di interessi; 4) non risultavano operazioni di finanziamento verso altri e, in particolare di soggetti davvero terzi rispetto al A.A. e alle sue società (cfr. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata).
1.4 Ed invero, questa Corte, in tema, ha affermato che:
-) ai fini delle imposte sui redditi, l’esercizio delle attività di cui all’art. 2195 c.c., tra le quali rientrano quelle ausiliarie del mediatore e del procacciatore d’affari, determina sempre la sussistenza di un’impresa commerciale, indipendentemente dall’assetto organizzativo scelto, ma è necessario che sussista il requisito dell’abitualità, da intendersi come attività stabile nel tempo con riguardo al periodo d’imposta (Cass., 4 dicembre 2019, n. 31643);
-) non vi è coincidenza tra la nozione tributaristica dell’esercizio delle imprese commerciali e quella civilistica; infatti, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, in materia di Iva e l’art. 55 del TUIR in materia di imposte sui redditi, fanno riferimento all’esercizio professionale ed abituale ancorchè non esclusivo, delle attività indicate dagli artt. 2195 c.c. e 2135 c.c., sebbene non siano organizzate in forma di impresa e, dunque, prescindendo dal requisito organizzativo, che al contrario rappresenta un elemento qualificante ed indispensabile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici. Incombe sul giudice di merito l’onere di apprezzare ed accertare la sussistenza dei requisiti della professionalità ed abitualità nell’attività svolta dal contribuente, ossia il carattere continuativo e stabile dell’attività imprenditoriale, che difetta nell’ipotesi in cui siano compiuti atti isolati di produzione e commercio (Cass., 5 dicembre 2014, n. 25777);
-) l’erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società; la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci (Cass., 23 marzo 2017, n. 7471; Cass., 3 dicembre 2014, n. 25585);
-) anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria prevale la titolarità effettiva rispetto a quella apparente nel caso di acquisto di azioni di cui si assuma la titolarità nei confronti dei terzi, ma con il patto interno di riconoscere il fiduciante come unico proprietario di esse; (Cass., 28 aprile 2021, n. 11226, in motivazione, che richiama anche Cass., Sez. U., 10 dicembre 1984, n. 6478; Cass. 27 febbraio 2015, n. 4049);
-) in caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla L. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti (cfr. Cass., Sez. U., 27 aprile 2022, n. 13143; Cass., 23 dicembre 2020, n. 29410), con la conseguenza che le azioni a tutela della proprietà dei beni spettano al fiduciante (Cass., 23 marzo 2018, n. 7364).
1.5 Proprio con riferimento a questo specifico ultimo profilo deve osservarsi che l’Amministrazione finanziaria, pur affermando, peraltro in modo conforme all’orientamento di questa Corte di legittimità, la natura meramente “formale” del dato dell’intestazione del bene alla società fiduciaria, valorizzando, di contro, l’elemento “sostanziale” della titolarità del bene stesso in capo al fiduciante, non ne trae le debite conseguenze, ovvero la diretta riconducibilità a A.A. delle operazioni di finanziamento effettuate nei confronti delle società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl , in quanto il A.A., ne possedeva le quote per il tramite di società fiduciarie, come correttamente affermato dalla Commissione tributaria regionale a pag. 9 della sentenza impugnata.
1.6 Ed invero, come affermato da questa Corte l’accordo fiduciario si configura come una combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l’una costituita da un negozio traslativo a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia nei confronti dei terzi, e l’altra (il c.d. pactum fiduciae) avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l’obbligo assunto dal fiduciario di trasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha costituito oggetto dell’acquisto (cfr. Cass., 21 marzo 2016, n. 5507; Cass., 8 settembre 2015, n. 17785). Dunque, l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie dà luogo ad un’ipotesi di interposizione reale di persona, in virtù della quale l’interposto acquista la titolarità delle azioni o delle quote, ma è tenuto ad osservare un determinato comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante (le società fiduciarie); tale obbligo, pur potendo incidere sulle concrete modalità di esercizio dei diritti sociali e di adempimento dei correlati doveri, non comporta alcun effetto nei rapporti con la società o gli altri soci, nei confronti dei quali viene in considerazione esclusivamente la titolarità formale della partecipazione (Cass., 13 settembre 2019, n. 22903).
1.6.1 Nella sostanza la Corte di Cassazione ha ritenuto che “la proprietà della società fiduciaria, pur non potendosi dire fittizia, viene ad assumere, pur tuttavia, connotazione meramente “formale” mentre il fiduciante, nonostante la formale intestazione del bene alla fiduciaria ne conserva la proprietà “sostanziale” ed è quindi in grado di disporre direttamente, senza necessità di alcun formale ritrasferimento dei titoli da parte delle società” (cfr. anche Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031) e ancora che “nella società fiduciaria, i fiducianti…vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alle società ed a queste strumentalmente intestati” (cfr. anche Cassazione, Sez. U., 21 maggio 1999, n. 4943).
1.6.2 Ed invero, il principio appena richiamato, che afferma la prevalenza della “sostanza” (fiduciante) sulla “forma” (società fiduciaria intestataria) è stato condiviso anche dalla Agenzia delle Entrate in tema di applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni (cfr. Circolare 28/E del 27/3/2008, cap. 3 e 4.1).
1.6.3 Con riferimento alla vicenda in esame, viene, dunque, in rilievo non tanto il rapporto sociale (avente natura esterna ed efficace nei confronti dei terzi), quanto quello interno tra il A.A. (fiduciante) e le società fiduciarie, che costituisce il fondamento “sostanziale” dei finanziamenti corrisposti dal A.A. alle società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl , società di cui il A.A. possedeva le quote di partecipazione tramite società fiduciarie, mandatarie senza rappresentanza (ovvero società che agivano in nome proprio, ma per conto del fiduciante in ossequio al “pactum fiduciae” tra di loro stipulato). A conferma di ciò, peraltro, le società fiduciarie (soggetti mandatari senza rappresentanza) non hanno rivestito alcun ruolo nell’attività di intermediazione, essendo stato accertato che tale ruolo era stato assunto direttamente dal A.A. (soggetto mandante), che è, poi, quello che ha ritenuto il giudice di merito di secondo grado, laddove, a pag. 9 della sentenza impugnata, ha affermato che se era vero che le quote delle società C.I.S.E. Srl , U.C.I.S. Srl , V.I.S. Srl , A.P.D. Group Srl , S.M.C. Srl erano detenute dal A.A. per il tramite di società fiduciarie, allora esse andavano ricondotte “fiduciariamente” al “Gruppo A.A.”.
1.7 Deve, quindi, concludersi che correttamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che, nella vicenda in esame, difettavano tutti i presupposti caratterizzanti l’esercizio abusivo di una attività creditizia, poichè le operazioni di finanziamento oggetto di accertamento erano state effettuate da società comunque riconducibili alla proprietà di A.A. nei confronti di società sempre riferibili al A.A. (e non anche di una generalità di soggetti) ed erano prive di finalità speculative, non essendo stata data la prova di rimborsi, con aggravio di interessi.
1.8 Rileva per il resto un ulteriore profilo di inammissibilità del primo motivo, atteso che la doglianza formulata, laddove censura l’accertamento in fatto operato dai giudici di secondo grado in ordine al difetto dei presupposti caratterizzanti l’attività creditizia che aveva riguardato le sole società individuate e non anche soggetti terzi, involge una questione di merito, come tale diretta ad un riesame del merito della causa, non consentito nel giudizio di legittimità, tenuto conto del principio di diritto secondo cui: “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
- Il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge: del D.P.R. n. 600/1973, art. 32, comma 1, n. 2); del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nn. 2) e 7), art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). I giudici della Commissione tributaria regionale avevano completamente disatteso la presunzione prevista dal D.P.R. n. 600/1973, art. 32, applicabile nei confronti di qualsiasi contribuente, limitando la propria motivazione alla riconducibilità o meno delle movimentazioni a società del “Gruppo A.A.”, ma ignorando completamente che il contribuente non aveva mai fornito alcuna giustificazione analitica delle movimentazioni riscontrate sui conti correnti bancari nella sua disponibilità. Il contribuente non aveva fornito nè in sede di verifica, nè in sede accertativa, nè in nessuno dei gradi di merito, la prova contraria richiesta dal D.P.R. n. 600/1973, art. 32 circa l’irrilevanza, ai fini tributari, delle movimentazioni bancarie contestate dall’Ufficio negli avvisi di accertamento. A fronte dell’evidenza del dato bancario oggettivo, della rilevazione da parte dell’Ufficio di significative movimentazioni di denaro contante sui conti bancari e postali, incompatibili con la complessiva capacità contributiva dello stesso, ed in assenza di valide giustificazioni, in applicazione del D.P.R. n. 600/1973, art. 32, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto dichiarare la piena legittimità dei recuperi effettuati, basati sulle risultanze bancarie acquisite legittimamente e soggette al regime giuridico descritto. Di contro, i giudici di secondo grado avevano limitato la propria decisione alla riconducibilità o meno delle movimentazioni a società del “Gruppo A.A.” ed avevano completamente trascurato di considerare che il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione analitica delle movimentazioni riscontrate sui conti correnti nella sua disponibilità, che, di conseguenza, dovevano ritenersi senz’altro imponibili ai fini fiscali.
2.1 In di Spa rte l’inammissibilità del motivo che eccepisce un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (atteso che una violazione di legge non può dipendere da un vizio di motivazione, trattandosi di vizi diversi e non sovrapponibili, dato che l’uno attiene al giudizio di diritto e l’altro al giudizio di fatto), il motivo è infondato, in quanto la Commissione tributaria regionale ha ritenuto, con un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, che sulla base delle risultanze processuali non poteva affermarsi che le operazioni poste in essere avessero finalità speculative e, dunque, che vi fossero stati dei rimborsi, con aggravio di interessi e che, nell’assenza di operazioni di finanziamento poste in essere nei confronti di soggetti terzi rispetto al A.A. e alle sue società, difettavano tutti i presupposti che caratterizzavano l’attività creditizia contestata al contribuente, presupposti che dovevano essere dimostrati dall’Ufficio e non dal contribuente (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
2.2 Non sussiste, pertanto, alcuna violazione delle norme richiamate, avendo i giudici di secondo grado sostanzialmente affermato che era prioritario l’accertamento dell’effettivo esercizio dell’attività creditizia contestata, in ordine alla quale l’Ufficio finanziario non aveva dato la prova, pur incombendo sullo stesso il correlato onere probatorio, e dovendosi richiamare le risultanze degli accertamenti bancari solo all’esito del raggiungimento di detta prova e ai fini della ricostruzione della base imponibile da recuperare a tassazione (ciò peraltro corrisponde, per quanto diffusamente sopra rilevato. anche alla prospettazione erariale); il contribuente, tuttavia, con riferimento agli accertamenti bancari, aveva assunto che i conti correnti avevano la funzione di conto di cassa delle società e che sugli stessi confluivano le disponibilità finanziarie delle attività imprenditoriali delle società allo stesso riferibili, sia direttamente, che indirettamente, che, poi, venivano ridistribuite a seconda della necessità delle diverse società, al fine di ottenere la migliore gestione della tesoreria delle varie aziende.
- Per quanto esposto, il ricorso va rigettato.
- Le spese del giudizio vanno interamente compensate tra le parti in ragione della novità delle questioni trattate.
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perchè il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023