Nell’ambito dell’attività di pianificazione patrimoniale e fiscale, ci viene sempre più frequentemente richiesto di valutare la costituzione di un trust avente natura commerciale, e dunque di un trust che abbia ad oggetto principale l’esercizio dell’attività di impreso e che possa essere qualificato sotto il profilo fiscale come ente commerciale. Di seguito riportiamo un breve riassunto delle considerazioni pratiche che l’imprenditore deve fare prima di valutare l’istituzione di un trust commerciale.
L’attività di pianificazione ed il trust
Per pianificazione patrimoniale si intende quella serie di attività volte a strutturare, programmare ed organizzare il patrimonio di un soggetto, allo scopo di favorirne la protezione, la valorizzazione e la trasmissione alle generazioni future.
La pianificazione patrimoniale è un’attività che viene effettuata sul cliente, in base alle qualità soggettive del medesimo, oltre che in base al patrimonio e specifiche esigenze ed obiettivi futuri.
Per quanto possibile, tale attività deve sempre essere effettuata cercando di ottimizzare la fiscalità del patrimonio del cliente e sempre tenendo ben presenti le tematiche familiari e successorie, ciò in modo da ridurre il rischio di eventuali contenziosi futuri.
L’attività di pianificazione e strutturazione patrimoniale è particolarmente delicata e deve esser prestata da società altamente specializzate o professionisti in grado di occuparsi delle problematiche relative alle molteplici discipline giuridiche interessate, quali: il diritto civile, commerciale o societario, il diritto successorio ed il diritto di famiglia oltre al diritto tributario.
In tale contesto, lo strumento del trust viene largamente utilizzato proprio per le caratteristiche di istituto altamente personalizzabile.
I molteplici benefici del trust possono essere però bilanciati dalla grande complessità di questo istituto che deve essere maneggiato con estrema cura e considerazione.
Dunque, prima di proporre una specifica struttura al cliente, il consulente deve fare una serie di valutazioni in concreto volte ad realizzare una struttura lineare e stabile sotto il profilo civilistico, successorio e fiscale nel medio e nel lungo periodo.
Trust commerciale o trust non commerciale, qual è il migliore?
Non c’è una risposta univoca alla domanda. Le due tipologie di trust hanno entrambe caratteristiche del tutto peculiari e molteplici vantaggi, controbilanciati da altrettanti svantaggi.
Ciò che deve essere fatto è svolgere una valutazione in concreto rispetto al cliente, ai fini perseguiti, al patrimonio e soprattutto, in caso di trust commerciale o non commerciale, all’attività che verrà effettivamente svolta dalla struttura tenendo ben presenti i poteri di riqualificazione attribuiti all’Agenzia delle Entrate.
Il trust opaco non commerciale
Sotto il profilo fiscale il trust può essere qualificato come ente non commerciale qualora non svolga in concreto in modo esclusivo o prevalente un’attività di natura commerciale.
In tal caso il trust, se opaco, è assoggettato alla disciplina fiscale degli enti non commerciali ex articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR e dunque assoggettato ad IRES secondo quanto previsto dall’art. 144 del TUIR.
Tale tipologia di trust è sicuramente quella più adottata nella pratica per le varie finalità alle quali il trust viene preposto, come per la segregazione delle partecipazioni sociali ma non esercitante attività commerciale (utilizzato ad esempio ai fini del passaggio generazionale) e dunque inquadrabile nell’ambito degli enti non commerciali.
Ad esempio, il trust non commerciale può fungere anche da “holding” e quindi può detenere delle partecipazioni, anche totalitarie, in società di capitali a condizione che tali partecipazioni vengano gestite con modalità di gestione statica.
Il reddito non si determina unitariamente i redditi come avviene per le società di capitali e agli enti commerciali ma viene determinato distintamente per sommatoria di ciascuna categoria di reddito in base al risultato complessivo di tutti i cespiti che vi rientrano (similmente a quel che accade ai fini l’IRPEF).
Il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 26 maggio 2017, ha rideterminato le percentuali di concorso al reddito complessivo dei dividendi e delle plusvalenze per gli enti non commerciali.
I dividendi percepiti da enti non commerciali concorrono alla formazione del reddito imponibile nella misura del 100% del loro ammontare. A tal fine, la tassazione dei dividendi percepiti da un trust opaco qualificato come ente non commerciali, è del 24% indipendentemente dalla tipologia di partecipazione detenuta (qualificata o non).
Il Trust opaco commerciale
Sotto il profilo fiscale il trust può essere qualificato come ente commerciale qualora svolga in concreto in modo esclusivo o prevalente attività di natura commerciale.
In tal caso il trust è assoggettato ad IRES ex articolo 73, comma 1, lettera b), del TUIR, deve avere in concreto come oggetto principale l’esercizio dell’attività commerciale.
Sotto il profilo civilistico il trust non ha soggettività giuridica e può essere qualificato come ente commerciale con il contestuale assoggettamento alla relativa normativa. Secondo l’art. 2195 cod. civ. sono imprenditori commerciali, quelli che esercitano:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua e per aria;
4) un’attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.
A differenza della normativa fiscale, quella civilistica richiede, ai fini della qualificazione di un ente quale ente commerciale, un particolare requisito di natura organizzativa oltre che lo svolgimento dell’attività in maniera abituale e professionale. L’ente dovrà avere come oggetto esclusivo o principale un’attività a carattere commerciale. Tale carattere deve essere determinato in base alla legge, all’atto istitutivo, all’attività di fatto esercitata ed all’organizzazione. A tal fine occorrerà predisporre l’atto istitutivo e tutti i relativi documento con particolare attenzione. Per quanto riguarda la responsabilità del trust per le obbligazioni assunte nell’esercizio della propria attività, esso risponderà con l’intero patrimonio. Il trustee in qualità di amministratore del trust avrà una responsabilità “rafforzata” assimilabile alla responsabilità dell’amministratore di società di capitali prevista dall’art. 2476 cod. civ. Per tale motivo, il costo per l’operatività ordinaria del trust commerciale potrebbe essere molto maggiore rispetto ad un trust non commerciale, dovendo nel primo caso il trustee assumere un incarico di amministrazione che lo espone direttamente a diverse responsabilità.
Sotto il profilo fiscale per esercizio di imprese commerciali, ai sensi dell’articolo 55 del TUIR, si intende “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva” delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 cod. civ. (tra le quali le attività industriali dirette alla produzione di servizi) anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 cod. civ.. A tal fine, secondo l’Amministrazione Finanziaria, deve qualificarsi come “commerciale” l’”organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico” (ris. 126/E/2011), ma anche un “unico affare”, se di rilevante entità economica ed articolato in operazioni complesse che presuppongono una organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico (cfr. Risoluzione 286/E/2007). Ai fini fiscali il requisito organizzativo passa in secondo piano mentre assume rilevanza la “professionalità” ed “abitualità” ancorché non esclusiva dell’attività. Invero, in mancanza di quest’ultimo elemento, si sarebbe in presenza di un attività commerciale esercitata occasionalmente (ad esempio svolta occasionalmente dal trust non commerciale) il cui reddito è inquadrabile nella categoria dei redditi diversi.
Dunque, la valutazione circa la commercialità o meno del trust dovrà effettuarsi in concreto, rispetto alle finalità effettivamente perseguite dal trust e dell’attività svolta. Per “oggetto esclusivo o principale” deve intendersi l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari del trust commerciale.
Ad esempio, nel caso in cui il trust eserciti un’attività di detenzione di partecipazione nella quale da luogo soltanto all’esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista nonché, eventualmente, alla percezione dei dividendi, tale attività non verrà considerata come attività commerciale (d’impresa) a meno che non fornisca beni o servizi connotati da professionalità, sistematicità ed abitualità ovvero intraprenda un’attività che presupponga una organizzazione in forma di impresa (cfr. Commissione europea, con la Comunicazione del 19 luglio 2016 (2016/C 262/01) e Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 425/E/2008).
Il trust per essere qualificato come commerciale deve avere come oggetto l’esercizio di un’attività commerciale e, in concreto, effettuare una gestione attiva delle partecipazioni in trust e dei beni dallo stesso amministrati.
Una volta qualificato come commerciale, il trust determinerà il proprio reddito unitariamente secondo quanto disposto dall’art. 81 e seguenti del TUIR, ossia con le medesime regole valevoli per le società di capitali e gli enti commerciali, e che lo stesso sia soggetto passivo IRES, IVA oltre che IRAP.
Pro e conto del trust commerciale o non commerciale
Di seguito vengono in breve valutati gli aspetti positivi (pro) e negativi (contro) relativi alla struttura del trust commerciale:
(pro) amministrazione professionale e terza del trust (i.e. trustee professionale), fiscalità conveniente con applicazione della PEX ed applicazione del regime di esenzione rispetto ai dividendi, soggettività passiva IVA;
(contro) responsabilità diretta del patrimonio in trust per le obbligazioni contratte, oneri amministrativi di gestione da parte del trustee più alti, tassazione ai fini IRAP, rischio riqualificazione ex art. 10-bis L. n. 212/2000 in trust non commerciale o in struttura “abusiva”, obbligo di tenuta delle scritture contabili in capo al trust ex artt. 13 e 14, DPR 600/1973 (libro giornale, libro degli eventi, registri iva, beni ammortizzabili, magazzimo…etc), maggiore responsabilità del trust che risponde con il proprio fondo delle obbligazioni contratte, limitato utilizzo da parte dei beneficiari del fondo in trust per fini propri, possibili problemi nell’apertura di conti correnti ed in generale di operatività con le banche, possibile difficoltà dei partner a comprendere l’istituto, distribuzioni del capitale effettuate in modo contingentato ai beneficiari per rischio riqualificazione ex art. 10-bis L. n. 212/2000, possibili problemi dovuti alla successiva rivendita delle partecipazioni delle società detenute dal trust.
Sotto un diverso profilo gli aspetti positivi (pro) e negativi (contro) relativi alla struttura del trust non commerciale sono i seguenti:
(pro) Amministrazione professionale senza rischi di impresa, aumentato il livello di segregazione patrimoniale dei beni in trust, costi dell’amministrazione più contenuti, contabilità semplificata tenuta secondo uno schema libero che prende ispirazione dalle best prectices elaborate a livello internazionale, limitata conflittualità tra i beneficiari dovuta all’amministrazione lineare da parte del trustee, limitata rilevanza ai fini IRAP, stabilità e limitati rischi di riqualificazione ai fini fiscali;
(contro) benefici fiscali ridotti.
a cura di Leonardo Arienti, Avvocato
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