La soggettività passiva ai fini IVA del trust

 

Articolo pubblicato sulla rivista Trusts e Attività Fiduciarie

Cita come: Leonardo Arienti, La soggettività passiva ai fini IVA del trust (Cass., 29 giugno 2022, n. 20808), in Trusts, 2023, 723.

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Tesi
La soggettività passiva del trust sotto il profilo tributario suscita
diversi contrasti interpretativi.
Relativamente all’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), il trust
autodichiarato non gode di un’autonoma soggettività passiva e
l’applicabilità dell’imposta alle operazioni dal medesimo effettuate
deve essere valutata in base alla qualifica soggettiva del disponente
che riveste anche il ruolo di trustee.
Inoltre, sebbene parte della giurisprudenza ritenga il trust non
dotato di soggettività passiva ai fini IVA, l’Amministrazione
finanziaria è di diverso avviso e ritiene il trust commerciale soggetto
passivo IVA.

The author’s view
The evaluation whether or not the trust is granted with autonomous
taxable liability gives rise to various contrasting interpretations.
With regard to the Italian Value Added Tax (VAT), the self-declared trust
is not granted with autonomous tax liability and the applicability of the
tax to the transactions it carries out must be assessed on the basis of the
subjective status of the settlor, who also acts as trustee.
Moreover, although part of the jurisprudence considers the trust to have
no tax liability for VAT purposes, the Italian Tax Administration takes a
different view and considers the commercial trust to be subject to VAT

 

Sommario: § 1. Considerazioni introduttive – § 2. Fatti in causa – § 3. La decisione della Corte di cassazione 29 giugno 2022, n. 20808 – § 4. Il trust con disponente societario – § 5. L’Imposta sul Valore Aggiunto in ambito di trust e l’alternatività tra IVA e imposta di registro – § 6. La soggettività passiva del trust a fini fiscali – § 7. Trust autodichiarato ed imposizione IVA – § 8. Conclusioni

  • 1. Considerazioni introduttive

La decisione della Corte di Cassazione del 29 giugno 2022, n. 20808, in materia di trust c.d. societario, verte su una serie di tematiche piuttosto rilevanti ed attuali, quali la soggettività passiva del trust ai fini delle imposte indirette, la fiscalità del trust autodichiarato sotto il profilo IVA e l’applicabilità al trust del principio di alternatività IVA-Registro.

L’attualità di questi temi si continua ad avvertire anche in seguito all’emanazione da parte dell’Agenzia delle Entrate della circolare 20 ottobre 2022, n. 34/E, che ha lasciato comunque molti punti in sospeso e che non ha risolto i contrasti interpretativi generatisi a causa dei vuoti normativi in tema di imposizione fiscale del trust, dovuti alla scelta del legislatore italiano di non disciplinare in modo organico tale istituto.[1]

 

  • 2. Fatti in causa

Con l’ordinanza del 2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata in relazione alla non applicabilità dell’imposta di registro in luogo dell’IVA in un’operazione immobiliare compiuta da una s.r.l. nella duplice veste di disponente e trustee di un trust cd. autodichiarato.

La s.r.l., quale disponente e trustee, aveva dapprima apportato in trust il diritto di proprietà superficiaria di un complesso immobiliare di proprietà della medesima e successivamente, in qualità di trustee, aveva trasferito tale diritto di proprietà in favore di altre due società acquirenti. All’atto di vendita veniva applicata l’IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

L’Agenzia delle Entrate contestava l’assoggettamento ad IVA dell’atto di vendita, ritenendo non sussistenti in capo al trust i requisiti di soggettività previsti ai fini dell’applicazione del regime di tassazione dell’IVA di cui al D.P.R. 633/1972 ed applicava, secondo il principio di alternatività tra IVA e registro, l’imposta di registro in misura proporzionale.

Avverso tale contestazione la società proponeva ricorso, accolto in primo grado. In seconde cure la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dall’Agenzia, adducendo che la normativa fiscale attualmente vigente non riconosce alcuna soggettività passiva autonoma al trust in materia di imposizione indiretta e che, trattandosi di trust autodichiarato, l’atto di disposizione patrimoniale doveva essere ricondotto al disponente, soggetto dotato di partita IVA.

La decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva così impugnata dall’Agenzia delle Entrate che proponeva ricorso per Cassazione con unico motivo, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972, relativo all’“Esercizio dell’Impresa”, e dell’art. 1 della Tariffa, allegato primo, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, relativo agli atti da assoggettarsi all’imposta di registro in misura proporzionale.

In particolare, l’Agenzia criticava la riconducibilità al disponente dell’atto di vendita, contestando la carenza di soggettività tributaria del trust (autodichiarato).

 

  • 3. La decisione della Corte di Cassazione 29 giugno 2022, n. 20808

La Corte di Cassazione, in primo luogo, ha rilevato nella sentenza come la medesima questione fosse già stata definita con l’ordinanza della Cassazione 18 giugno 2021, n. 17563 che aveva respinto l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate.[2]

I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, hanno statuito che, nel caso esaminato di trust autodichiarato, ai fini dell’applicabilità o meno dell’IVA all’atto di vendita del diritto di proprietà superficiaria non deve essere valutata la qualifica soggettiva del trust (i.e. se esso debba essere ad esempio qualificato come trust commerciale o non commerciale), ma “la qualifica del soggetto Iva va ricercata in colui che è soggetto all’imposta, ossia nel disponente, che, nel caso in esame, era soggetto Iva”.

La Corte di Cassazione conclude inoltre che, in merito alla soggettività passiva tributaria del trust in ambito di imposte indirette, “il trust non sia soggetto passivo di imposta di registro o di Iva in quanto l’unica ipotesi in cui è prevista la soggettività passiva tributaria del trust è quella di cui al TUIR, art. 73, in tema di IRES”.

 

  • 4. Il trust con disponente societario

La fattispecie del trust con disponente societario è assai peculiare e certamente non priva di problematiche, molte delle quali riconducibili all’intrecciarsi del delicato equilibrio tra gli interessi societari, anche di natura concorsuale o preconcorsuale, con le diverse dinamiche afferenti al trust.

Nonostante nel corso degli ultimi anni l’utilizzo del trust “societario” nell’ambito della fase di liquidazione delle società (i.e. trust liquidatorio) oppure nel contesto di procedure concorsuali (i.e. trust concordatario) abbia avuto e stia avendo una discreta diffusione, permangono molteplici casi di utilizzo distorto e patologico dello strumento.[3]

Sotto il profilo civilistico, invero, non vi sono dubbi che nel momento in cui il conferimento in trust viene operato, fuoriuscendo le relative risorse dal patrimonio della società, queste ultime non potranno più considerarsi appartenenti alla stessa. Pertanto, salvo eventuali azioni revocatorie, non potranno più costituire – ad esempio – una valida garanzia per i relativi creditori. Ciò può comportare specifiche conseguenze, soprattutto in un contesto nel quale la società è in uno stato di crisi, anche solo prospettico.

Sotto il profilo fiscale, come chiarito dalla Circolare 34/E, l’apporto in trust di beni sociali relativi all’impresa (beni strumentali, bene merce o beni patrimoniali) comporta una fuoriuscita dei medesimi dalla disponibilità dell’impresa per scopi estranei alla stessa.

Tale fuoriuscita implica per il disponente il conseguimento di componenti positive di reddito.

È questa l’ipotesi del trust commerciale nel contesto del quale si realizzano componenti positive di reddito da assoggettare a tassazione ai fini delle imposte sui redditi ed ai fini IVA ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 5, del D.P.R. n. 633/1972.

Quanto al caso in esame, le problematiche fiscali relative all’eventuale imposizione diretta ed indiretta dell’apporto del diritto di proprietà superficiaria in trust sono incrementate (o forse no) anche dalla specifica tipologia di trust istituito, il trust autodichiarato.

 

  • 5. L’Imposta sul Valore Aggiunto in ambito di trust e l’alternatività tra IVA e imposta di registro

L’imposta sul valore aggiunto, ai sensi del D.P.R. 633/1972, è un’imposta indiretta, reale ed armonizzata a livello europeo, la cui applicabilità è determinata dalla presenza simultanea di tre requisiti: soggettivo, oggettivo e territoriale.

In generale, ai sensi dell’art. 1, D.P.R. 633/1972, l’IVA si applica a tutte le cessioni di beni e servizi compiute nell’esercizio di imprese ex artt. 4 e 5 del D.P.R. 633/1972 ed è dovuta, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 633/1972, dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili.

In merito ai criteri atti a determinare l’“economicità” dell’attività svolta, pare che debbano essere ricavati alla luce della Direttiva 112/2006/UE, che definisce attività economica ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, comprese le attività estrattive ed agricole, nonché quelle di libera professione o assimilate.

In particolare, costituisce attività economica ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale al fine di ottenere ricavi ed altre componenti positive di reddito, aventi un carattere di tendenziale stabilità.

Dunque, l’imposta viene applicata nel caso vengano integrati i presupposti oggettivo, territoriale e soggettivo da un soggetto che eserciti attività di natura commerciale e dunque, in astratto, anche da un ente commerciale come il trust.

L’entificazione del trust sotto il profilo delle imposte dirette operato dall’art. 73 del TUIR comporterebbe pertanto l’effetto di attribuire al trust commerciale una propria soggettività ai fini IVA.

Ciò sembrerebbe confermato dall’Amministrazione finanziaria, secondo la quale il trust commerciale costituisce autonomo soggetto d’imposta ai fini IVA, al quale deve essere attribuito il relativo numero di partita IVA come previsto nel Modello AA7/10.

Detto assunto farebbe propendere verso il definitivo riconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate di una soggettività passiva autonoma del trust ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto, sebbene la Circolare 34/E del 2022 e la circolare  6 agosto 2007, n. 48/E non siano del tutto chiare sotto questo profilo e nonostante manchi una specifica norma di legge.

Ritenuta pacifica l’assoggettabilità all’IVA del trust commerciale, che dunque detiene la relativa soggettività tributaria, un altro problema è quello di coniugare l’applicabilità del principio di alternatività IVA – registro in caso di “doppia imponibilità” ad un soggetto astrattamente inidoneo a beneficiare della soggettività tributaria ai fini delle imposte indirette.

La questione interessa anche le ipotesi di costituzione o cessione onerosa di diritti reali immobiliari come il diritto di superficie, che costituiscono plusvalenze immobiliari.

Dette operazioni di trasferimento sono riconosciute come operazioni imponibili sia ai fini IVA, ai sensi dell’art. 2, comma 1, D.P.R. 633/1972, sia ai fini dell’imposta di registro, ai sensi dell’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, Parte I.

Per ovviare ai possibili casi di “doppia imponibilità”, l’art. 40 del D.P.R. 131/1986 sancisce il cd. principio dell’alternatività IVA-registro dal quale deriva che, nel caso in cui l’operazione di cessione immobiliare risulti contestualmente assoggettabile a IVA ed a registro, quest’ultimo dovrà scontarsi solo in misura fissa.

Nel caso opposto in cui l’operazione soggetta ad imposta di registro risulti invece esente IVA, il registro dovrà scontarsi in misura proporzionale, con aliquota differente a seconda del caso peculiare.

Il regime di esenzione IVA nell’ambito delle cessioni immobiliari, si ricordi, dipende inoltre nel concreto da una serie di circostanze, tra cui rilevano in particolare la natura dell’immobile, l’arco di tempo che intercorre tra la data di edificazione e quella di cessione da parte dell’impresa costruttrice, nonché dall’uso cui lo stesso immobile è predestinato.

L’elemento che incide in misura maggiore sull’applicabilità del principio di alternatività IVA-registro, nel caso in esame, non è tanto la struttura del trust quanto la qualifica soggettiva del disponente (i.e. s.r.l. esercente attività avente natura commerciale). Infatti, risulterebbe superflua un’indagine sull’attività prevalente del trust laddove, trattandosi di trust autodichiarato, ne è esclusa a priori l’operatività sotto il profilo fiscale.

Ad ogni modo il principio di alternatività IVA-registro sembrerebbe applicabile anche al trust commerciale dotato della relativa partita IVA, stante l’assoggettamento ad IVA dello stesso secondo quanto previsto dalla disciplina degli enti aventi natura commerciale, con contestuale applicazione delle medesime disposizioni aventi ad oggetto il medesimo presupposto oggettivo ai fini IVA.

 

  • 6. La soggettività passiva del trust a fini fiscali

In seguito alle modifiche apportate all’art. 73 del TUIR dalla legge Finanziaria del 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), al trust è stata riconosciuta un’autonoma soggettività ai fini delle imposte sul reddito delle società, e dunque sotto il profilo delle imposte dirette.[4]

Con la riforma del 2006 il legislatore ha voluto attribuire al trust, privo di soggettività giuridica civilistica, la soggettività tributaria, al fine di consentirne un’autonoma imputazione di capacità contributiva almeno sotto il profilo delle imposte dirette.

L’art. 73 del TUIR ha così individuato due principali tipologie di trust: quelli con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (c.d. trust trasparenti) e quelli senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono tassati direttamente in capo al trust (i.e. trust opachi).

Sotto il profilo delle imposte indirette le cose sono andate diversamente.

Con il D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 convertito con la L. 24 novembre 2006, n. 286 poi modificata dalla Finanziaria del 2007, il legislatore reintrodusse l’imposta sulle successioni e sulle donazioni, nonché sulla costituzione dei vincoli di destinazione previsti dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.

La norma venne tuttavia interpretata in maniera difforme.

L’Amministrazione finanziaria, nel contesto della circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, riteneva che “tra i vincoli di destinazione rientra anche la costituzione di trust”, soggetto passivo dell’imposta in quanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, esso è “immediato destinatario dei beni oggetto della disposizione segregativa”.

La giurisprudenza è stata ondivaga per anni sino a trovare una conformità di orientamento dalla sentenza della Corte di Cassazione  30 maggio 2018, n. 13626, che ha confermato che la dotazione di beni in trust sotto il profilo delle imposte indirette non è assoggettata a tassazione in quanto non determina un incremento patrimoniale o un arricchimento dei beneficiari.

La questione è stata dunque posta con riferimento all’eventuale incremento patrimoniale del trust ed al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione e non tanto con riferimento alla sussistenza o meno della soggettività tributaria in capo al trust sotto il profilo delle imposte indirette.[5]

La Circolare 34/E del 2022 ha da ultimo recepito l’indirizzo della Corte di Cassazione sviluppatosi negli ultimi anni con molteplici sentenze,[6] andando a modificare il proprio precedente orientamento in tema di imposizione indiretta dell’apporto di beni in trust.

La Circolare non ha però chiarito le questioni sollevate in tema di soggettività tributaria del trust sotto il profilo delle imposte indirette.

Dunque, ad oggi, non vi è una vera e propria fonte normativa che attribuisca soggettività passiva al trust sotto il profilo delle imposte indirette e né la prassi né la giurisprudenza sembrerebbero aver risolto tale questione.

La quinta sezione della Corte di cassazione si è occupata della tematica con due decisioni gemelle del 2021.

In particolare, l’ordinanza del 16 febbraio 2021, n. 3986  nel negare al trust soggettività giuridica civilistica (fatto oramai più che consolidato), gli nega anche una soggettività tributaria generalizzata poiché “la previsione dell’art. 73 TUIR, comma 1, che individua espressamente i trust tra i soggetti passivi Ires […] non comporta una loro soggettività assoluta ai fini dell’imposizione diretta”.

Dunque, secondo la Cassazione, la specifica attribuzione di soggettività tributaria ai fini delle imposte dirette di cui all’art. 73 del TUIR non è di per sé sufficiente a comportarne una sua soggettività generalizzata per gli altri tipi di imposte.

Ciò, in quanto un’applicazione estensiva della norma contrasterebbe con il divieto posto dall’art. 14 delle preleggi in materia di interpretazione analogica delle norme eccezionali.

Al tal riguardo la Corte statuisce che “vale osservare […] come dalla soggettività IRES non possa inferirsi il riconoscimento di una capacità generalizzata del trust di essere soggetto passivo anche di altri tributi”.

Tale principio sancito della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3986/2021 e poi ribadito dall’ordinanza n. 7973/2021 sembrerebbe esser stato ripreso dalla decisione in commento.

Da ciò deriverebbe che il trust non possa ritenersi soggetto passivo sotto il profilo delle imposte di successione e donazione ovvero sotto il profilo dell’Iva sebbene, come visto in precedenza, l’applicazione dell’Iva si basi su presupposti autonomi ed indipendenti.

  • 7. Trust autodichiarato ed imposizione IVA

È un dato di fatto che il polimorfismo e la polifunzionalità del trust abbiano comportato il rapido delinearsi di una molteplicità di sue connotazioni morfologiche.

Tra le tipologie di trust che hanno cagionato e stanno cagionando maggiori dibattiti tra dottrina civilistica ed esperti del settore fiscale rientra senz’altro il trust autodichiarato.[7]

La coincidenza tra disponente e trustee, se da un lato non sembrerebbe averne inficiato la validità civilistica,[8] dall’altro ne ha comportato la dichiarazione da parte dell’Agenzia delle Entrate come ipotesi di trust fiscalmente inesistente in quanto interposto.

Secondo il Fisco, non potendosi rinvenire nelle dinamiche che caratterizzano il trust autodichiarato alcun reale spossessamento dei beni da parte del disponente, deve escludersi la possibilità di imputare il relativo reddito ad un soggetto diverso rispetto al disponente stesso.

La Circolare 34/E del 2022 chiarisce, in tema di trust interposto, che il reddito di cui appare titolare il trust è assoggettato ad imposizione direttamente in capo all’interponente, non applicandosi le regole fiscali di cui all’art. 73 del TUIR e dunque perdendo il trust la propria soggettività sotto il profilo delle imposte dirette.

Da ciò si potrebbe desumere la perdita di soggettività del trust anche ai fini IVA.

Nel caso della sentenza in esame, l’argomentazione preponderate utilizzata dalla Cassazione nella propria decisione riguarda l’assenza di una normativa espressa sulla soggettività passiva del trust in materia di IVA, indi per cui i requisiti oggettivi atti a determinare l’esigibilità dell’imposta non potrebbero che ricercarsi in capo al disponente, data la natura autodichiarata del trust.

A onor del vero, occorre riconoscere che la motivazione della sentenza, sintetizzata in questi termini, non possa considerarsi del tutto esaustiva, limitandosi semplicemente a prendere atto di un vacuum legislativo noto ai più.

Inoltre, se tale argomentazione potesse definirsi di per sé soddisfacente, risulterebbero superflui i complessi ed annosi ragionamenti che hanno occupato dottrina, giurisprudenza ed Agenzia delle Entrate riguardo all’applicabilità dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni al trust e che hanno costretto l’Agenzia dele Entrate a rivedere le proprie posizioni iniziali con l’emanazione della Circolare 34/E del 2022.

 

  • 8. Conclusioni

In conclusione occorre rilevare che la Suprema Corte, attraverso la sintetica pronuncia in esame, abbia affrontato una serie di tematiche piuttosto rilevanti ed attuali in materia di trust, quali la soggettività passiva del trust ai fini delle imposte indirette, la fiscalità del trust autodichiarato sotto il profilo IVA e l’applicazione al trust del principio di alternatività IVA – Registro.

La Corte di legittimità è giunta a conclusioni condivisibili, individuando proprio nella s.r.l. disponente il soggetto passivo d’imposta con riferimento al quale deve essere verificato il possesso dei requisiti atti a determinare l’assoggettabilità all’Imposta sul Valore Aggiunto – stante la natura autodichiarata del trust – ma lo ha fatto attraverso un percorso argomentativo che si espone a diverse critiche.

Infatti la Suprema Corte, dando atto del vuoto legislativo esistente in tema di soggettività passiva del trust ai fini delle imposte indirette e soprattutto ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto, sancisce la mancanza in capo al trust di qualsiasi altro tipo di soggettività passiva se non quella di cui all’art. 73 del TUIR.

Se il “rilievo” della Cassazione in merito all’inesistenza di una normativa ad hoc in materia di soggettività passiva del trust ai fini delle imposte indirette non può certamente essere messo in discussione, d’altro canto lascia perplessi il fatto che i Supremi Giudici si siano limitati a “prendere atto” di tale vuoto legislativo.

Del resto, se c’è un aspetto che possiamo aver appreso negli ultimi anni dalle diatribe che hanno interessato l’applicabilità al trust dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni è che la complessità dell’istituto rende necessario un esame più diffuso del caso concreto.

Ciò anche in considerazione della disciplina italiana in tema di IVA di cui al D.P.R. 633/ 1972, che prevede l’applicabilità dell’imposta nel caso vengano integrati i tre presupposti, oggettivo, soggettivo e territoriale, oltre che in considerazione della qualificazione che l’Amministrazione finanziaria fa oramai della circolare del 6 agosto 2007, n. 48/E del trust commerciale, come ente commerciale dotato di soggettività passiva ai fini IVA, con attribuzione allo stesso della relativa partita IVA.

A parere di chi scrive, l’entificazione del trust sotto il profilo delle imposte dirette ad opera dell’art. 73 del TUIR comporterebbe anche l’effetto attributivo al trust commerciale di una propria soggettività ai fini IVA come prevista dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. 633/1972.

[1] M. Lupoi – T. Tassani, Presentazione, in questa Rivista, 2023, 79.

[2] La sentenza della Corte di cassazione n. 17563/2021 è stata già compiutamente commentata in questa Rivista, si veda M. Cecci, Profili di rilevanza del trust in ambito IVA, 2022, 140.

[3] In materia di trust “falsamente liquidatorio” si veda Cass., sent. 9 maggio 2014, n. 10105; Cass., sent. 10 febbraio 2020, n. 3128.

[4] Per un approfondimento: T. Tassani, I trust nel sistema fiscale Italiano, Pacini Editore, 2012.

[5] Per un approfondimento: T. Tassani, Le diverse tipologie di trust tra imposizione “in entrata” ed “in uscita”, in questa Rivista, 2020, 361.

[6] Cass. 30 maggio 2018, n. 13626 e ordinanze 30 ottobre 2020, nn. 24153 e 24154.

[7] Per approfondimenti in materia di interposizione del trust autodichiarato si veda Leonardo Arienti, L’interposizione fiscale del trust autodichiarato (CTR Lombardia, 11 maggio 2022), in questa Rivista, 2023, 528 e N. D. Latrofa, La tassazione degli atti di vincolo di diritti reali immobiliari nel trust autodichiarato, in questa Rivista, 2022, 303.

[8] M. Lupoi, Profili civilistici del trust (pagg. 6-8 della circolare e passim), in questa Rivista, 2023, 82.

 

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