Leonardo Arienti, Alessandro Accinni, L’amministrazione di beni immobili con intestazione a società iduciaria autorizzata, in Trusts, 2024, 302

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Tesi

L’incarico di amministrazione di beni conferito a società fiduciaria autorizzata ai sensi della L. n. 1966 del 1939 e del D.M. 16 gennaio 1995 comporta il trasferimento alla fiduciaria della sola titolarità del bene oggetto di amministrazione che rimane di proprietà del fiduciante, il quale dispone dello stesso mediante la società fiduciaria che opera in forza delle specifiche istruzioni così ricevute. Tra i beni oggetto di amministrazione fiduciaria rientrano anche i beni immobili. La recente evoluzione giurisprudenziale di legittimità e di merito in materia di trust, alla quale è seguito il cambio di indirizzo dell’Agenzia delle Entrate, conferma che, in applicazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, vista l’assenza di un trasferimento di proprietà e di ricchezza, all’atto con il quale il fiduciante intesta il bene immobile alla società fiduciaria devono ritenersi applicabili (così come avviene per il trust) le imposte di registro, ipotecaria a catastale in termine fisso, con esclusione dell’applicabilità delle imposte di successione e donazione.

The author’s view

The iduciary mandate assigned to a iduciary company i.e. “società iduciaria” pursuant to Law No. 1966 of November 23, 1939 and to Ministerial Decree 16 January 1995 causes the transfer to the iduciary company of the mere title on the asset under administration. The principal i.e. “iduciante” remains in the efective ownership of the asset and disposes of it through the iduciary company that acts pursuant to the speciic instructions received. Assets subject to iduciary administration also include real properties. The recent Italian jurisprudential evolution about trusts, which was followed by the changing of the position by the Italian Revenue Agency, conirms that, in application of the ability-to-pay principle referred to in Article 53 of the Italian Constitution and given the absence of the transfer of ownership and of wealth, the deed by which the principal registers the real property in the name of the iduciary company has to be subject (as for trust) to the registration, mortgage and cadastral taxes in ixed term, with the exclusion of the applicability of inheritance and gift taxes.

 

Sommario: § 1. L’amministrazione fiduciaria: profili civilistici – § 2. L’amministrazione fiduciaria: profili tributari – § 3. L’imposizione diretta – § 4. L’imposizione indiretta – § 5 L’intestazione fiduciaria e la “reintestazione” al fiduciante – § 6. Trattamento fiscale del trasferimento di beni immobili in amministrazione fiduciaria

 

§ 1. L’amministrazione fiduciaria: profili civilistici

 In tema di negozi fiduciari vale la pena valorizzare la pronuncia Cass., sez. un., 27 aprile 2022, n. 13143 e una recente circolare Direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT)1 che, a diverso titolo, hanno preso (uguale) posizione sul rapporto intercorrente tra società fiduciaria e fiduciante.

Nel nostro ordinamento sono definite società fiduciarie quelle società che “si propongono, sotto forma di impresa di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi(L. 23 novembre 1939, n. 1966, art. 1), la cui attività è soggetta ad autorizzazione ministeriale, attualmente da parte del MIMIT, che svolge anche la vigilanza sull’attività tipica.

Con decreto ministeriale del 1995 (D.M. 16 gennaio 1995) il Ministero vigilante (allora Ministero dell’Industria) ha disciplinato gli “elementi informativi del procedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza”.

Da più parti si auspica la riforma del decreto ministeriale in considerazione del lungo tempo trascorso dalla sua emissione e delle molteplici norme successivamente intervenute che interessano direttamente o indirettamente l’attività fiduciaria (si pensi, solo per fare qualche esempio, alla disciplina sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, alla disciplina dei mercati finanziari e delle attività finanziarie, alla tokenizzazione degli asset finanziari, alle criptovalute, all’introduzione degli istituti di pagamento nel sistema degli intermediari).

In attesa dell’auspicata riforma il contesto normativo e regolamentare di riferimento resta essenzialmente confinato alla legge istitutiva ed al Decreto ministeriale 16 gennaio 1995, la cui esecuzione e interpretazione hanno dovuto nel corso di questi decenni adattarsi all’immane cambiamento del contesto nel quale agiscono le società fiduciarie (insieme agli altri intermediari e ai differenti operatori).

In questo quadro è intervenuta la citata pronuncia delle Sezioni unite della Corte di cassazione del 2022, la quale ha affermato che “le attività tipiche prese in considerazione dalla L. 23 novembre 1939, n. 1966 sono, in pratica, tutte sussumibili nel concetto di amministrazione di elementi patrimoniali altrui, mediante contratti che legittimano le società a operare in nome proprio sui capitali afidati secondo lo schema del mandato senza rappresentanza” soggiungendo che “questa Corte ha da tempo riconosciuto la rilevanza di simile fenomeno, sempre sostanzialmente ripetendo che nella società fiduciaria i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro afidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati (vedasi anche Cass. Sez. 1, n. 7364/18).”.

Nel solco di tale posizione si è inserita la citata circolare del MIMIT, la quale, a ben vedere, aggiunge una fondamentale precisazione quando afferma che il mandato fiduciario di cui al D.M. 16 gennaio 1995 (definito strumento tipico attraverso cui si svolge l’operatività delle società fiduciarie) “è esemplato sul mandato senza rappresentanza disciplinato dal codice civile, ma non coincide completamente con detto istituto, ordinariamente utilizzabile dai privati nell’ambito dei loro rapporti”.

Fondamentale è il passaggio in cui il MIMIT spiega (e fonda sul D.M. 16 gennaio 1995) questa non coincidenza e, quindi, la differenziazione del mandato fiduciario dal mandato senza rappresentanza: “il legislatore del 1995, infatti, al fine di perimetrare rigorosamente l’ambito di attività delle società fiduciarie (…) ha dettato una disciplina puntigliosa e quasi “costrittiva” del mandato fiduciario, ovverosia lo strumento operativo individuato per le società fiduciarie. In primis, dopo molti anni di incertezze e ondeggiamenti tra “fiducia romanistica” e “fiducia germanistica”, il D.M. optava definitivamente per la seconda. Ciò comportava (e comporta tutt’ora) che le società fiduciarie, nel momento in cui viene loro conferito il mandato (come regolato dal D.M. medesimo), non diventano proprietarie dei beni o diritti oggetto del mandato in questione, ma solo formali intestatarie (nei confronti dei terzi) dei beni o diritti stessi. Ciò ai fini della sola “amministrazione dei beni e diritti in parola”.

La bipartizione germanistica/romanistica va, quindi, considerata non tanto nella sua possibile correttezza etimologica e definitoria,3 quanto nella natura sostanziale (e causa giuridica concreta unitaria) del rapporto negoziale che con tali termini si intende identificare, i cui elementi sono espressamente enucleati sia dalla Cassazione che dal MIMIT, con ciò portando a sistema l’elaborazione di quella risalente bipartizione.4

Quanto ci viene così consegnato è una coerente definizione del mandato fiduciario di cui al D.M. 16 gennaio 1995 come rapporto contrattuale tipico, di esclusiva competenza e legittimazione delle società fiduciarie autorizzate ad operare ex L. 23 novembre 1939, n. 1966, non esauribile nel tipo del mandato senza rappresentanza, in forza del quale il mandatario/fiduciaria non acquista la proprietà del bene o diritto intestato, la cui titolarità è trasferita solo in via strumentale rispetto all’incarico di amministrazione, restando tale bene o diritto nel patrimonio del mandante/fiduciante.

Si tratta, quindi, di una peculiare conformazione della proprietà, ovvero della titolarità, del bene o diritto in capo alla società fiduciaria (che – per consuetudine e per esigenza classificatoria – si usa definire “fiducia germanistica”), ma che invero corrisponde ad una tipica titolarità della sola società fiduciaria, connaturata e discendente dalla disciplina legale e regolamentare della sua attività istituzionale e dalla stessa autorizzazione esclusiva ad operare in forma di impresa quale amministratore di beni per conto terzi.

Di assoluto rilievo è l’affermazione di tale conformazione della titolarità in maniera indipendente dalla natura del bene oggetto di amministrazione, ciò che sposta il fuoco (e l’elemento qualificante) dall’oggetto dell’amministrazione verso l’attività stessa di amministrazione e verso il soggetto amministratore ed il concreto rapporto con il suo dante causa: non è unicamente la natura del bene amministrato a determinare la possibilità di distinguere tra titolarità e proprietà effettiva, ma è la disciplina legale della società fiduciaria e del negozio tipico di amministrazione (quel mandato fiduciario di cui al D.M.) a consentire e a determinare quella specifica conformazione della proprietà e della titolarità del bene o diritto fiduciariamente amministrato.

Non a caso (anzi, espressamente) il riferimento non è solo ai beni ma anche ai diritti, potendo ai sensi del D.M., il mandato fiduciario avere ad oggetto l’amministrazione di un diritto (si pensi all’amministrazione del diritto di usufrutto su una partecipazione societaria, ovvero della posizione di beneficiario di una polizza assicurativa sulla vita).

Anche nella giurisprudenza di merito si è ormai formata la consapevolezza della specificità e tipicità di siffatta conformazione della titolarità di un bene o diritto in capo alla società fiduciaria. Ne è prova il consolidato orientamento che identifica la corretta esecuzione a carico del debitore/fiduciante nella forma del pignoramento presso la terza società fiduciaria detentrice e intestataria di beni o diritti del debitore.

Ecco, quindi, che la ricostruzione sistematica dell’attività fiduciaria e dell’incarico di amministrazione fiduciaria di beni per conto del fiduciante conduce a concludere identificando il trasferimento della titolarità del bene o diritto oggetto di amministrazione, come atto meramente strumentale a consentire l’esecuzione dell’incarico di amministrazione, senza volontà (né effetto) di trasferimento della proprietà del bene o diritto (che resta nel patrimonio del fiduciante/mandante) e senza determinare alcun arricchimento del mandatario (né conseguente impoverimento del mandante).

Come detto, l’attività di amministrazione delle società fiduciarie ha ad oggetto beni e diritti per conto terzi, senza alcuna limitazione quanto alla natura del bene o diritto oggetto di amministrazione.

Con specifico riferimento all’amministrazione fiduciaria di beni immobili lo statuto “tipo” adottato dalle società fiduciarie, conforme al modello della Associazione di categoria comunicato al Ministero vigilante il 4 marzo 2004,8 prevede l’amministrazione con intestazione di beni immobili, attività che nella prassi ha trovato scarsa applicazione per il trattamento impositivo che oggi, come si dirà di seguito, dovrebbe poter trovare un diverso approdo.

I limiti che il Decreto ministeriale pone all’attività di amministrazione di beni immobili sono essenzialmente gli stessi posti all’attività di amministrazione fiduciaria di altri beni o diritti, primo fra tutti il principio per cui la società fiduciaria deve ottenere in anticipo i mezzi necessari per lo svolgimento degli incarichi (cfr. D.M. art. 5.10.1.(e)), previsione che suggerisce (se non obbliga) la società fiduciaria a stipulare adeguata copertura assicurativa per i rischi derivanti dalla titolarità dell’immobile.

Sarà anche necessario dare compiuta rappresentazione della detenzione fiduciaria della titolarità dell’immobile nei registri pubblici (a tale fine potendo risultare utile riferimento interpretativo tanto la modalità di pubblicità della intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie in uso presso le camere di commercio,9 quanto la esperienza della intestazione di beni immobili a trustee espressamente effettuata in tale qualità, a distinguerla dalla titolarità propria del soggetto amministratore).

§ 2. L’amministrazione fiduciaria: profili tributari

Quanto sopra assume particolare valore anche sotto il profilo tributario.

Le società fiduciarie sono tenute ad agire in esclusiva dipendenza delle direttive impartite dai fiducianti (art. 5, comma 10, lettera (c), del D.M. 16 gennaio 1995), non potendo autonomamente amministrare i beni e diritti intestati. È unicamente il fiduciante a disporre liberamente dei diritti relativi ai beni e ad impartire le relative istruzioni alla società fiduciaria.

Da tale situazione giuridica di interposizione reale ed in base all’oramai consolidato principio della prevalenza della sostanza sulla forma, deriva che il fiduciante interponente risulta essere il soggetto passivo d’imposta.

La prevalenza della proprietà effettiva del fiduciante rispetto alla titolarità formale della società fiduciaria fa sì che la società fiduciaria sia ritenuta fiscalmente trasparente nei rapporti tra il fiduciante e l’Amministrazione finanziaria.

§ 3. L’imposizione diretta

Con riferimento alle imposte dirette, la società fiduciaria operante ai sensi della L. n. 1966/1939 risulta essere fiscalmente trasparente,14 per cui il fiduciante rimane il soggetto passivo d’imposta ed il soggetto con riferimento al quale devono essere valutati i requisititi soggettivi per l’applicazione di un determinato regime fiscale.15

Dal punto di vista normativo, il legislatore tributario ha espressamente disciplinato il fenomeno dell’interposizione formale delle società fiduciarie con la L. 29 dicembre 1962, in tema di ritenuta d’acconto o d’imposta sugli utili distribuiti dalle società.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate 10 maggio 1985, n. 16, relativa alle plusvalenze da cessioni di partecipazione, ha precisato che, in caso di intestazione di partecipazioni a società fiduciaria, i trasferimenti di dette partecipazioni effettuati a terzi “costituiscono cessioni o conferimenti operate dal iduciante, efettivo proprietario”.

Anche la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate  7 dicembre 2006, n. 136/E, richiamando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, ha precisato che l’istituto dell’intestazione fiduciaria non modifica il soggetto passivo d’imposta, identificabile sempre e comunque nel fiduciante.17

Più recentemente, con la risoluzione del 22 gennaio 2015 n. 9/E, relativa agli incentivi all’investimento in start-up innovative, in caso di sottoscrizione di quote per il tramite di società fiduciarie, l’Agenzia ha dichiarato che l’intestazione fiduciaria delle quote o delle azioni della start-up innovativa non modifica l’effettivo proprietario dei beni, identificabile sempre e comunque nel fiduciante, rispetto al quale dovranno essere valutati i requisiti soggettivi per poter beneficiare della disciplina agevolativa.

La giurisprudenza di legittimità tributaria, nonostante qualche oscillazione, è oramai consolidata nel ritenere il fiduciante l’effettivo proprietario del bene afidato alla società fiduciaria ed a questa strumentalmente intestato (Cass. civ., sez. V, 21 marzo 2023, n. 8071).

Dunque, è il fiduciante l’onerato passivo della pretesa tributaria, in quanto titolare sostanziale ed effettivo beneficiario del reddito connesso al bene fiduciariamente amministrato (Cass. civ., sez. V, 27 febbraio 2015 n. 4049).

Così, nel caso di applicazione di specifici regimi di esenzione o di particolari modalità di determinazione del reddito, rilevano le caratteristiche soggettive del fiduciante, effettivo soggetto passivo d’imposta, e non della società fiduciaria interposta formalmente (Cass. civ., sez. V, 29 settembre 2023, n. 27622).

§ 4. L’imposizione indiretta

Nel silenzio del legislatore fiscale relativamente all’imposizione indiretta dell’incarico di amministrazione fiduciaria, l’Amministrazione finanziaria aveva colto l’opportunità di inquadrare la natura del negozio fiduciario, in occasione della “rinata” imposta sulle successioni e donazioni ad opera del D.L. n. 262 del 2006.

In un primo momento, con la circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, 21 erano stati forniti chiarimenti in ordine alle nuove disposizioni introdotte in materia di imposta sulle donazioni, successioni e sulla costituzione di vincoli di destinazione, sia in tema di negozio fiduciario, sia di trust.

In tale contesto, il negozio fiduciario tipicamente adottato dalle società fiduciarie era stato qualificato come “atto istitutivo di vincoli aventi effetti anche traslativi” e, quindi, assoggettabile (come il trust) alla relativa imposta sulle successioni e donazioni e sui vincoli di destinazione.

Con la circolare immediatamente successiva del 27 marzo 2008, n. 28/E (di integrazione, modifica e sostituzione di alcuni principi previsti della circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E), l’Agenzia delle Entrate ha invece riconosciuto che con l’espressione negozio fiduciario “può farsi riferimento a fattispecie tra loro diverse per le quali vige un differente trattamento fiscale”; conseguentemente, l’incarico di amministrazione di società fiduciaria è stato ritenuto “non idoneo a realizzare il presupposto della (re)istituita imposta sulle successioni e donazioni, vista l’assenza di un trasferimento di beni o diritti”.

§ 5. L’intestazione fiduciaria e la “reintestazione” al fiduciante

L’intestazione di un bene alla società fiduciaria, così come la c.d. “reintestazione” del bene al fiduciante – e dunque l’atto con il quale l’intestazione del bene viene ritrasferita al fiduciante – non costituiscono atti traslativi della proprietà.

La “reintestazione” effettuata nei confronti dell’originario fiduciante, non è un atto traslativo e non ha rilevanza fiscale sotto il profilo delle imposte indirette, mancando anche un trasferimento di ricchezza.

Tale reintestazione si concretizza solitamente in caso di cessazione dell’incarico assunto dalla società fiduciaria, per scadenza del termine finale dell’incarico, per revoca da parte del fiduciante o per recesso della fiduciaria (D.M. 16 gennaio 1995, art. 5, comma 10, lettere (c) e (d)). In tale circostanza la titolarità del bene viene ritrasferita e “riunita” al diritto di proprietà effettiva già in capo al fiduciante.

A parere dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Lombardia, circ. 31 dicembre 2001, n. 118299, l’intestazione e il ritrasferimento “costituiscono cessioni di beni senza alcun corrispettivo, che non comportano trasferimento di diritti reali”.

In conclusione, il trasferimento della titolarità del bene alla fiduciaria ed il ritrasferimento a favore del medesimo fiduciante sono atti che, non comportando il trasferimento della proprietà e non comportando un trasferimento di ricchezza, non rilevano sotto il profilo delle imposte di successione e donazione in applicazione del principio di capacità contributiva previsto dall’art. 53 Cost.

 

§ 6. Trattamento fiscale del trasferimento di beni immobili in amministrazione fiduciaria

L’Agenzia delle Entrate aveva affrontato la questione, già agli inizi degli anni 2000, con la circolare 31 dicembre 2001, n. 118299 rilevando che “l’intestazione dell’immobile così come il suo ritrasferimento costituiscono cessioni di beni senza alcun corrispettivo che non comportano il trasferimento di diritti reali”, poiché con il trasferimento alla società fiduciaria “verranno trasferiti solo i poteri di amministrazione e gestione dell’immobile”.

Successivamente, in occasione della Risposta del Governo ad interrogazione della Commissione VI, on. Benvenuto Atto Camera – del 29 luglio 2004 n. 5-03395, relativa all’assoggettamento all’imposta di registro in misura fissa degli atti di intestazione fiduciaria di immobili, l’Agenzia riferiva che i beni mobili ed immobili possono essere intestati alla società fiduciaria, ma concludeva che l’intestazione fiduciaria e la reintestazione di beni immobili erano da considerarsi negozi traslativi di diritti reali, dunque, assoggettabili alle relative imposte indirette, non esistendo in campo immobiliare previsioni normativa.

A fondamento della propria posizione l’Agenzia delle Entrate deduceva che in tema di mandato senza rappresentanza il codice civile “detta una disciplina diversa, a seconda che oggetto del mandato siano beni mobili o immobili” consentendo al mandante di rivendicare i soli beni mobili acquistati per suo conto, ma in nome proprio, dal mandatario (articolo 1706 cod. civ., primo comma) – come se il mandante stesso fosse proprietario, in virtù di un trasferimento automatico ex lege – e stabilendo per gli immobili che “il mandatario è obbligato a ritrasferirli al mandante (articolo 1706, secondo comma)”.

In seguito, a solo quattro anni di distanza, la già citata circolare 27 marzo 2008, n. 28/E al paragrafo 4.2., recante “La fiducia romanistica: i negozi fiduciari aventi ad oggetto beni immobili”, prendeva una specifica posizione per cui per i beni immobili non sarebbe “configurabile la scissione della proprietà formale rispetto alla proprietà sostanziale” e, dunque, non sarebbe possibile adottare lo schema tipico della fiducia germanistica, in quanto in relazione ai beni immobili occorre: (i) tenere conto delle regole che concernono i requisiti di forma del contratto (per il combinato disposto degli articoli 1350, 2643 e 2657 del codice civile, i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili devono rivestire a pena di nullità la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata); e (ii) provvedere agli adempimenti pubblicitari prescritti dal codice civile col mezzo della trascrizione, in assenza della quale il contratto che trasferisce la proprietà di beni immobili non ha effetto nei riguardi di terzi.

Di conseguenza, secondo l’Agenzia delle Entrate il negozio fiduciario avente ad oggetto beni immobili sarebbe sempre e comunque rilevante sotto il profilo dell’imposta sulle successioni e donazioni (e sotto quello delle imposte ipotecarie e catastali) in misura proporzionale, vista la rilevanza fiscale e traslativa del negozio e la gratuità del trasferimento.

Quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nel 2008 con la circolare 27 marzo 2008, n. 28/E in tema di trasferimento immobiliare può (se non deve) essere valutato alla

luce della evoluzione interpretativa degli ultimi anni in tema di rapporti fiduciari, con particolare riferimento al trattamento impositivo del trust e dei trasferimenti immobiliari dal disponente al trustee.

Come noto, la Corte di cassazione negli ultimi anni ha contribuito a ribaltare i principi applicati dall’Amministrazione finanziaria in materia di imposizione indiretta nei confronti dei trust passando, in buona sostanza, dal principio della tassazione “in entrata” (apporto dei beni in trust), previsto dal precedente orientamento di cui alle circolari 6 agosto 2007, n. 48/E e 22 gennaio 2008, n. 3/E , alla tassazione “in uscita” (attribuzione finale dei beni ai beneficiari) di cui alla circolare20 ottobre 2022, n. 34/E .

Invero, l’evoluzione giurisprudenziale è giunta tra gli anni 2018 e 2022 alla concorde interpretazione per cui, ai fini dell’applicazione in misura proporzionale dell’imposta di donazione e successione, così come dell’imposta di registro e di quella ipotecaria e catastale si debba necessariamente far riferimento al principio di capacità contributiva previsto dall’art. 53 Cost.

Pertanto, il presupposto per l’applicazione delle imposte indirette in misura proporzionale è la sussistenza di un reale arricchimento, e, dunque, di un reale trasferimento di ricchezza a titolo definitivo.

Il costante orientamento assunto negli ultimi anni dalla Cassazione tributaria,31 prevede che “ai fini dell’applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni,32 di registro, ipotecaria e catastale è necessario, ai sensi dell’art. 53 Cost., che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale […]”.

Secondo la Corte di cassazione, quando il trasferimento del bene costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale del beneficiario della attribuzione, resta esclusa la ricorrenza di un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta in misura proporzionale.

Pertanto, l’apporto di beni in trust (vale a dire il trasferimento del bene a favore del trustee) non integra di per sé un negozio traslativo fiscalmente rilevante, in quanto, pur determinando un trasferimento della proprietà dal disponente al trustee, non comporta un arricchimento del trustee. Invero, il trustee risulta essere detentore e proprietario del bene trasferito in via non definitiva e conformata, essendo il bene trasferito destinato ad altri beneficiari o all’impiego per uno scopo comunque diverso dall’arricchimento del trustee.

La proprietà del trustee risulta essere una c.d. “proprietà destinata”.

È noto, però, che l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 20 ottobre 2022, n. 34/E, ha recepito il cambio di orientamento della Corte di cassazione in tema di tassazione indiretta degli atti di dotazione di beni in trust, ed ha così superato le proprie indicazioni contenute nelle circolari 6 agosto 2007, n. 48/E , 22 gennaio 2008, n. 3/E .

Come è stato già recentemente rilevato,37 con la circolare 20 ottobre 2022, n. 34/E, l’Agenzia delle Entrate non si limita ad un generico recepimento dell’orientamento consolidato della Corte di cassazione, ma procede ad una ricostruzione analitica e sistematica dei diversi profili di rilevanza del trust ai fini delle imposte sui trasferimenti di ricchezza.

Secondo la nuova interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, l’atto di dotazione di beni in trust, pur comportando il trasferimento della proprietà sotto il profilo civilistico, costituisce un atto traslativo irrilevante sotto il profilo tributario. L’apporto del bene in trust è atto fiscalmente neutro che comporta la non rilevanza ai fini dell’applicazione dell’imposta di donazione e successione, l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa (ex art. 11, Tariffa, parte prima, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) e, nel caso di immobile, l’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale in termine fisso.

Per tutto quanto sopra esposto, appare, quindi, non solo ragionevole, ma conseguente e coerente (anche per omogeneità di sistema) che, al pari del conferimento di immobile in trust, anche gli atti di intestazione del bene immobile in capo a società fiduciaria e di reintestazione a favore dell’originario fiduciante ex L. 23 novembre 1939, n. 1966 e del

D.M. 16 gennaio 1995, non siano assoggettati a imposizione indiretta in misura proporzionale, e prevedano l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa (ex art. 11, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Tariffa, parte prima) e l’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale in termine fisso, trattandosi di atti che non comportano un arricchimento della società fiduciaria né un reale trasferimento di ricchezza a titolo definitivo, anzi, mancando qualsiasi trasferimento di ricchezza che resta nel patrimonio del fiduciante.

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