Il presente è il terzo di una serie di articoli destinati a fornire un quadro di insieme sui principali strumenti di protezione del patrimonio della “famiglia”.

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LA TUTELA DEL PATRIMONIO DELLA FAMIGLIA: IL FONDO PATRIMONIALE, IL TRUST, IL PATTO DI FAMIGLIA, LE HOLDING DI FAMIGLIA E L’INTESTAZIONE FIDUCIARIA

  1. La tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, le holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria. Introduzione agli istituti.
  2. La tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale ed il trust
  3. La tutela del patrimonio della famiglia: il patto di famiglia
  4. La tutela del patrimonio della famiglia: l’holding di famiglia
  5. La tutela del patrimonio della famiglia: l’intestazione fiduciaria
  6. La fiscalità degli strumenti di tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, le holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria
  7. La revocabilità degli istituti di tutela del patrimonio della famiglia ed analisi del nuovo articolo 2929-bis cod. civ. recante l’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità.

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  1. La tutela del patrimonio della famiglia: il patto di famiglia

 

 1. Introduzione

Il presente contributo deve necessariamente essere letto congiuntamente al primo (“La tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, le holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria. Introduzione agli istituti”) nel quale vengono presentate le caratteristiche principali dell’istituto qui in esame: il patto di famiglia.

Con la legge n. 55 del 14.2.2006, entrata in vigore dal 16.3.2006, è stato introdotto nel nostro ordinamento il nuovo istituto del patto di famiglia (artt. da 768 bis a 768 octies del codice civile, che costituiscono il nuovo capo V bis del titolo IV, libro II, posto a chiusura della disciplina della divisione ereditaria.

La nuova normativa sul patto di famiglia è stata attuata al fine di recepire due raccomandazioni della

Commissione UE (la prima n. 94/1069 del 7 dicembre 1994, pubblicata sulla G.U.C.E. n. L 385 del 31.12.1994, e la seconda n. 98/C 93/02, pubblicata sulla G.U.C.E. n. C-93 del 28.3.1998) che suggerivano all’Italia l’adozione di specifiche misure volte a contrastare un fenomeno estremamente diffuso nel nostro Paese: l’enorme difficoltà connessa con il passaggio generazionale dell’impresa.

Il patto di famiglia è un istituto fortemente innovativo che deroga profondamente ad alcune norme e principi di diritto saldamente radicati nel nostro ordinamento quali, ad esempio:

  • il divieto di patti successori sancito dall’art. 458 cod. civ.;
  • il diritto dei legittimari a favore dei quali la legge riserva una quota di eredità (cfr. art. 536 cod. civ.);
  • l’irrinunciabilità all’azione di riduzione durante la vita del donante;
  • la realità dell’azione di riduzione;
  • l’applicazione delle imposte di successione e di donazione (cfr. art. 3, comma 4-ter, D. Lgs. n. 346 del 1990).

Caratteristica principale del patto di famiglia è la possibilità conferita dalla legge ad un imprenditore che, durante il corso della propria vita, ha la facoltà di trasferire ad uno o a più discendenti da egli stesso prescelti la propria azienda o le partecipazioni relative alla medesima.

La ratio di questa riforma che è quella di consentire un passaggio generazionale più fluido, evitando possibili liti tra i successori e preservando così la funzionalità dell’azienda. Con il patto di famiglia l’imprenditore risolve anticipatamente le difficoltà che potrebbero generarsi in sede di aperture di una successione mortis causa scegliendo, in vita, il successore che ritiene più consono alla gestione dell’impresa.

Come si afferma nella relazione alla proposta di legge n. 3870 dell’8 aprile 2003 – da cui ha preso le mosse la legge 14 febbraio 2006 n. 55 – “la ratio del provvedimento deve essere rinvenuta nell’esigenza di superare in relazione alla successione di impresa la rigidità del divieto dei patti successori, che contrasta non solo con il fondamentale diritto all’esercizio dell’autonomia privata, ma altresì e soprattutto con la necessità di garantire la dinamicità degli istituti collegati all’attività d’impresa” (Relazione alla proposta di legge n. 3870 dell’8 aprile 2003).

 

2. Patto di famiglia

Schematicamente, le principali caratteristiche del patto di famiglia sono le seguenti:

  1. è un contratto concluso per atto pubblico mediante il quale l’imprenditore trasferisce per spirito di liberalità – e dunque, senza corrispettivo alcun – a uno o più discendenti in tutto o in parte l’azienda o la partecipazione sociale;
  2. al contratto devono partecipare il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore;
  3. i discendenti assegnatari devono liquidare i legittimari partecipanti corrispondendo o obbligandosi a corrispondere loro, in denaro o in natura, il valore della quota di legittima loro spettante sull’azienda o sulla partecipazione, nel medesimo atto o in atto successivo di cui siano parte gli stessi contraenti del primo atto;
  4. i legittimari non assegnatari partecipanti al patto possono rinunciare a tale liquidazione;
  5. le assegnazioni e le liquidazioni effettuate con il patto di famiglia non sono aggredibili con l’azione di riduzione, né sono soggette a collazione;
  6. gli eventuali legittimari sopravvenuti, dopo la morte dell’imprenditore, potranno solo pretendere dai beneficiari del patto il pagamento della somma corrispondente alla loro quota di legittima, oltre agli interessi legali, ma non esperire l’azione reale di riduzione (quindi è loro riconosciuto un semplice diritto di credito);
  7. essendo un contratto, il patto può essere sciolto o modificato solo con il necessario intervento di tutti coloro che ne furono parte;
  8. il recesso è ammesso solo se espressamente previsto nel patto e solo se esercitato mediante dichiarazione recettizia certificata da notaio, che deve pervenire a tutti coloro che furono parte dell’originario contratto.

 

3. Patto di famiglia e trust

La possibilità di utilizzare l’istituto del trust ai fini della successione nell’impresa è del tutto pacifica ed in alcuni casi anche suggerita.

L’istituto del trust è estremamente futile e raccomandato nelle situazioni di successione più problematiche laddove un mero patto di famiglia, anche se ben regolamentato, potrebbe non essere sufficiente a garantire una successione lineare ed efficace.

Invero, la normativa civilistica in tema di patto di famiglia si limita a regolare il trasferimento della proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria, tralasciando aspetti di fondamentale importanza quali le scelte relative alla leadership e quelle relative all’assetto di governo ovvero tralasciando tutta una serie di problematiche che possono essere superate attraverso l’impiego del trust.

Schematicamente, l’adozione del trust consente numerosi vantaggi sia sotto il piano civilistico che fiscale, tra i quali consente:

  1. una pianificazione successoria più strutturata rispetto al patto di famiglia (es. in caso di discendente per età non ancora idoneo all’amministrazione e/o a ricevere le partecipazioni societarie);
  2. un’amministrazione professionale dei beni conferiti;
  3. di godere delle esenzioni fiscali di cui dall’art. 3, comma 4-ter, D. Lgs. n. 346 del 1990 (non applicazione dell’imposta di successione e donazione);
  4. di assicurare unità al patrimonio familiare;
  5. di assicurare un reddito ovvero il mantenimento di altri membri della famiglia e/o a terzi;
  6. al disponente di dare indicazioni sulle modalità di amministrazione dell’impresa da parte del trustee;
  7. un più alto livello di segregazione patrimoniale;
  8. di risolve eventuali problemi connessi alla liquidazione della quota degli eredi;

Ad esempio, il trust è certamente lo strumento più idoneo nel caso in cui l’impresa sia gestita da più rami di una stessa famiglia (ad esempio da più fratelli). La normativa civilistica sui patti di famiglia ha infatti riguardo all’imprenditore singolarmente considerato: nel caso di impresa gestita da più fratelli, ad esempio, ognuno di loro dovrebbe stipulare un proprio patto di famiglia con i soggetti appartenenti al proprio ramo, cosa che non sarebbe di alcuna utilità per l’azienda né sotto il profilo civilistico e nemmeno fiscale. Così, i fratelli quali disponenti, potrebbero invece istituire un unico trust, trasferendo allo stesso la proprietà dell’azienda ed attribuendo al trustee la gestione della stessa. I fratelli potrebbero individuare poi come beneficiari/beneficiario del trust uno o più successori ai quali destinare l’azienda o le partecipazioni anche in comunione tra di loro con contestuale nomina di un rappresentate comune ed applicazione delle esenzioni di cui dall’art. 3, comma 4-ter, D. Lgs. n. 346 del 1990.

Altro esempio, è il caso dell’imprenditore che intenda destinare la propria azienda ad un figlio non ancora dotato delle necessarie conoscenze, capacità e/o età necessaria alla gestione dell’impresa. In questo caso il genitore potrebbe istituire un trust imponendo al trustee il successivo trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni solo a valle dell’avveramento di determinate condizioni quali il compimento del diciottesimo anno di età ovvero l’ottenimento di un particolare titolo di studio.

 

4. Conclusione

Il patto di famiglia è un istituto di fondamentale importanza che permette all’imprenditore di pianificare nel migliore dei modi il passaggio generazionale nella propria impresa consentendo così sia la continuità aziendale sia un’adeguata pianificazione successoria che permetta – tra l’altro – la disapplicazione delle imposte di successione e di donazione.