Il presente è il primo di una serie di articoli destinati a fornire un quadro di insieme sui principali strumenti di protezione del patrimonio della “famiglia”. In tale contesto Sifir, società specializzata nell’attività orientata alla conservazione dei patrimoni dei clienti, offre servizi altamente specializzati e personalizzati, dedicati ad una clientela esigente ed attenta alla tutela del proprio patrimonio e della propria riservatezza.

****

LA TUTELA DEL PATRIONIO DELLA FAMIGLIA: IL FONDO PATRIMONIALE, IL TRUST, IL PATTO DI FAMIGLIA, LE HOLDING DI FAMIGLIA E L’INTESTAZIONE FIDUCIARIA

  1. La tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, le holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria. Introduzione agli istituti.
  2. La tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale ed il trust
  3. La tutela del patrimonio della famiglia: il patto di famiglia
  4. La tutela del patrimonio della famiglia: l’holding di famiglia
  5. La tutela del patrimonio della famiglia: l’intestazione fiduciaria
  6. La fiscalità degli strumenti di tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, le holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria
  7. La revocabilità degli istituti di tutela del patrimonio della famiglia ed analisi del nuovo articolo 2929-bis cod. civ. recante l’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità.

****

  1. Tutela del patrimonio della famiglia: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, la holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria. Introduzione agli istituti.

(Sommario: I. introduzione; II. i soggetti interessati; III. il fondo patrimoniale; IV. il trust; V. il patto di famiglia; VI. le holding di famiglia; VII. l’intestazione fiduciaria; VIII. conclusioni)

 

I. Introduzione

Il presente è il primo di sette elaborati volti a fornire un quadro d’insieme di quelli che sono i principali e più tradizionali strumenti di segregazione del patrimonio della famiglia e finalizzati: (i) a tutelare il patrimonio della famiglia; e, (ii) a garantire un adeguato passaggio generazionale che consenta di impedire, o comunque limitare, l’insorgere delle tipiche controversie dovute al passaggio generazionale della proprietà dei beni facenti parte dell’asse ereditario.

Questo primo elaborato introduce i caratteri principali degli istituti maggiormente impiegati per la tutela patrimoniale della famiglia. Essi in particolare sono: il fondo patrimoniale, il trust, il patto di famiglia, l’holding di famiglia e l’intestazione fiduciaria.

Nel corso delle seguenti pubblicazioni verranno analizzati più in dettaglio i differenti istituti, sia sotto il profilo civilistico che fiscale, e verrà da ultimo valutata la possibile revocabilità degli stessi.

 

II. I soggetti interessati

La tutela del patrimonio della famiglia e la garanzia di un attento passaggio generazionale sono delle tematiche che coinvolgono una moltitudine di soggetti, a prescindere dalla consistenza del loro patrimonio.

In astratto, tutti potrebbero ovviamente essere interessati alla tutela del loro patrimonio, sia dalla possibile aggressione da parte di terzi, sia da possibili dinamiche future che potrebbero in qualche modo minarne la consistenza (ad esempio: eventuali separazioni e/o divorzi, gestione delle dinamiche familiari, secondi matrimoni, successioni o donazioni, problematiche di passaggio generazionale nell’azienda, eventi futuri ed incerti, etc..).

Soprattutto in ordine al passaggio generazionale dell’azienda “di famiglia”, le problematiche relative a tale passaggio sono solitamente sottovalutate. Al contrario, esse si rivelano essere di fondamentale importanza per le sorti dell’impresa che si intende trasferire ai propri eredi alla quale spesso non è garantita un’adeguata continuità.

Fin da subito occorre precisare che non esiste un istituto migliore di un altro. E’ invero necessario di volta in volta valutare le diverse esigenze del singolo soggetto. Certo è che, maggiore sarà il grado di litigiosità della famiglia, l’esposizione e la consistenza del patrimonio, più delicata dovrà essere la pianificazione patrimoniale.

Da ultimo deve precisarsi che il concetto di “famiglia” così definita dell’art. 29 della Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio” ha subito, e sta ancora subendo, una forte evoluzione sia normativa sia giurisprudenziale volta a riconoscere, da una parte, alcuni diritti propri del coniuge anche al convivente more uxorio e, dall’altra, tesa a riconoscere l’assimilabilità al matrimonio delle c.d. unioni civili. Sebbene alcuni istituti possano essere applicati unicamente in costanza di matrimonio (i.e. il fondo patrimoniale), altri prescindono (i.e. il trust) o possono prescindere (i.e. il patto di famiglia) dalla sussistenza di tale vincolo.

 

III. Il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è un vincolo posto da uno dei due coniugi, da entrambi ovvero da un soggetto terzo, su un complesso di beni determinati e nell’interesse della famiglia.

Secondo quanto previsto dell’art. 167 cod. civ. il fondo è costituito dai beni (i.e. beni immobili, mobili registrati o titoli di credito) destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, volti cioè a garantire ai suoi membri il godimento di un determinato tenore di vita.

La ratio della norma è quella di assicurare alla famiglia una sorta di patrimonio “separato”, privo di personalità giuridica propria, non soggetto al principio generale di responsabilità patrimoniale presente e futura per le obbligazioni assunte cui all’art. 2740 cod. civ..

Con il fondo patrimoniale si assiste ad una forma di segregazione parziale (i.e. aggredibilità solo parziale da parte dei creditori) dei beni destinati ai bisogni della famiglia ed ai quale attingere nei momenti di bisogno con particolare attenzione alle esigenze dei figli, considerati degni di una particolare tutela.

Il fondo patrimoniale deve essere costituito per atto pubblico. Può essere costituito  da un solo dei coniugi, da ambedue i coniugi o da un terzo, anche per testamento. Possono essere assoggettati al fondo non soltanto i diritti di priorità ma anche altri diritti reali come quello di superficie, usufrutto ed enfiteusi. Rimangono esclusi quelli di uso, abitazione e le servitù in quanto legate all’intuitu personae (i.e. alle qualità personali del soggetto). Per l’assoggettabilità al regime del fondo patrimoniale di particolari tipologie di beni, si assiste tuttora ad un dibattito sia in dottrina che giurisprudenza. Ad esempio, secondo un certo orientamento, l’azienda e le partecipazioni in una società responsabilità limitata non sarebbero idonee ad essere segregate nel fondo.

La proprietà dei beni che costituiscono il fondo spetta ad entrambi i coniugi, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti nell’atto di costituzione. Da ciò si desume che ciascun coniuge possa riservarsi la proprietà del singolo bene. Se uno dei due coniugi si riserva la proprietà su un bene, al fondo verrà attribuito un diritto assimilabile all’usufrutto vincolato al soddisfacimento dei beni della famiglia. Dunque, la costituzione del fondo patrimoniale determina solo un vincolo di destinazione sui beni, ma non incide sulla proprietà dei beni stessi che rimane in capo ai coniugi ovvero ad uno di essi.

I beni costituenti il fondo sono vincolati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e l’esecuzione da parte dei creditori sui beni del fondo e sui loro frutti non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva esser stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. art 170 cod. civ.). Per “bisogni della famiglia” devono intendersi le esigenze finalizzate all’armonico sviluppo della famiglia.

L’amministrazione dei beni in fondo è regolata dalle norme relative alla comunione legale dei beni tra i coniugi (ex art. 168 cod. civ.). Tuttavia, il compimento di atti di straordinaria amministrazione spetta ai coniugi congiuntamente. In questo caso, qualora la proprietà del bene in fondo patrimoniale fosse solo di uno dei coniugi, egli non potrebbe liberamente disporre del bene se non previo consenso dell’altro coniuge. In caso di figli maggiorenni, è necessario anche il loro consenso mentre, se i figli sono minorenni, l’autorizzazione dovrà essere concessa dal Tribunale. In tale contesto deve precisarsi che l’art. 168 cod. civ. è ad ogni modo derogabile.

La disposizione dei beni in un fondo patrimoniale può subire le azioni revocatorie ordinaria(ex art. 2901 cod. civ. ed è proponibile entro il termine di cinque anni dalla costituzione del fondo), fallimentare (artt. 64 e s.s. R.D. 16 marzo 1942, n. 267 proponibile in termini più ristretti ma con meno onori probatori) e la nuova azione revocatoria ex art. 2929 bis cod. civ. rubricato “Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito” ed introdotto con D.L. n. 83 del 27 giugno 2015 (vedi articolo dedicato “Il nuovo articolo 2929-bis cod. civ.: l’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità”).

Costituiscono causa di cessazione del fondo patrimoniale l’annullamento, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ad ogni modo, non genera la cessazione del fondo la separazione personale tra coniugi. Inoltre, tra le cause di cessazione non è espressamente prevista dalla legge quella dell’accordo tra i coniugi. Si ritiene tuttavia ammissibile in dottrina lo scioglimento del fondo patrimoniale per espressa volontà delle parti costituenti.

In conclusione il fondo patrimoniale è uno strumento relativamente duttile ed economico che ha quale presupposto il vincolo coniugale dei coniugi e dunque è precluso ai soggetti non coniugati ma con figli, ai vedovi oppure ai conviventi more uxorio. In considerazione di ciò, il fondo patrimoniale viene meno con la cessazione, per qualsiasi motivo, del matrimonio. L’istituto in analisi potrà essere un utile strumento di segregazione patrimoniale in particolare modo per le coppie relativamente stabili e giovani, che possano meglio giustificare la costituzione del fondo ai fini del soddisfacimento dei bisogni presenti e futuri della famiglia.

 

IV. Il trust

Il trust è un istituto che non appartiene al nostro ordinamento. Esso trae le proprie origini nel sistema di common law ed, in particolare, è nato in Inghilterra paese in cui si è svolta la sua evoluzione lungo i secoli.

Nel nostro ordinamento giuridico il trust è stato riconosciuto a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aia del 1985 (L. 16 ottobre 1989 n. 364). Mancando una normativa interna che disciplini l’istituto, esso viene applicato mediante un meccanismo di “importazione” di una legge estera. Così, in sede di istituzione di un trust, esso dovrà richiamare una legge di un paese che lo riconosca espressamente come istituto e ne regoli le dinamiche (es. Legge Inglese, Legge della Nuova Zelanda, Legge di San Marino… etc).

In linea di massima, la struttura dei trust è la seguente: un soggetto denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario (legal owner) gestisce un patrimonio che gli è stato trasmesso da un altro soggetto, denominato disponente (o settlor) nell’interesse ed a beneficio di un soggetto (beneficiary) oppure per uno scopo prestabilito, purché lecito e non contrario all’ordine pubblico.

A tali soggetti possono essere affiancate altre figure terze con funzione di garanzia e/o vigilanza sull’operato del trustee (i.e. protector o enforcer) che potrà essere una persona fisica oppure una persona giuridica. La tripartizione dei ruoli (settlor, trustee e benificiary), che deve essere ben definita ed autonoma secondo il diritto inglese, trova temperamenti secondo altre leggi regolatrici che ammettono la validità di trust nei quali il settlor sia anche trustee ovvero beneficiario (i.e. trust autodichiarato).

Per quanto riguarda l’oggetto del trust, questo può essere rappresentato sia da beni immobili, più frequentemente, che da beni mobili, da universalità di mobili e da diritti reali di godimento e di credito (soprattutto titoli azionari). Non vi sono limiti per la determinazione dell’oggetto di un trust, purché sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, cod. civ..

L’effetto più importante che il trust produce è rappresentato dallo spossessamento dei beni conferiti in trust dal proprietario/disponente e dalla cosiddetta segregazione patrimoniale dei beni conferiti. Questo in sostanza significa che i beni posti in trust, costituiscono un patrimonio separato rispetto ai beni residui che compongono il patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari. La conseguenza più importante di un simile “stato di fatto” e che qualunque vicenda personale e patrimoniale che colpisca queste figure non travolge mai i beni in trust.

La segregazione fa sì che i beni in trust non possano essere aggrediti dai creditori personali del trustee, del disponente e dei beneficiari e il loro eventuale fallimento non vedrà mai ricompresa nella massa attiva fallimentare i beni in trust.

Come già visto per il fondo patrimoniale, anche la disposizione dei beni trust può subire le azioni revocatorie ordinaria (ex art. 2901 cod. civ. e proponibile entro il termine di cinque anni), fallimentare (artt. 64 e s.s. R.D. 16 marzo 1942, n. 267 proponibile in termini più ristretti ma con meno onori probatori) e la nuova azione revocatoria ex art. 2929 bis cod. civ..

La cessazione del trust varia a seconda della tipologia del trust adottato. Normalmente il trust cessa al raggiungimento dello scopo ovvero quanto il patrimonio dello stesso è stato esaurito. Il trust potrebbe cessare anche anticipatamente per eventi patologici che lo interessano. In tal caso dipenderà dal regolamento adottato ovvero dalla legge applicabile all’istituto. Casi tra i più frequenti di cessazione anticipata del trust è la morte del trustee persona fisica in assenza di una porvisoione su come nominarne uno in sostituzione.

In conclusione, il trust è un istituto molto sofisticato che permette una personalizzazione molto ampia in considerazione di quelle che sono le esigenze presenti e future del settlor o dei beneficiari (i.e. segregazione patrimoniale, passaggio generazionale ovvero entrambi). Ad ogni modo, affinché possa essere un efficace strumento di segregazione patrimoniale, esso deve però essere predisposto con la dovuta cura del caso, evitando la sovrapposizione dei ruoli e generando uno spossessamento effettivo dei beni da parte del settlor. I limiti del trust sono il costo relativamente alto dell’istituto ed una giurisprudenza sia civile che tributaria piuttosto altalenante.

 

V. Il patto di famiglia

Il patto di famiglia è un istituto giuridico introdotto nel nostro ordinamento nel 2006 (i.e. L. 14 febbraio 2006, n. 55) e regolato dagli artt. 768-bis e s.s. cod. civ.. Esso è un contratto mediante il quale l’imprenditore, mentre è in vita, ha la facoltà di trasferire in tutto o in parte l’azienda o le partecipazioni che detiene ad uno o più discendenti dallo stesso prescelti.

La normativa in esame costituisce una vera e propria deroga al divieto di patti successori previsto dall’art. 458 cod. civ. che sancisce la nullità di ogni accordo con cui un soggetto dispone della propria successione o dei diritti che gli possono spettare in base ad una successione non ancora aperta.

La ratio della previsione legislativa è quella di garantire il passaggio generazionale dell’azienda in modo che l’imprenditore possa designare durante il corso della sua vita il soggetto o i soggetti che si occuperanno della stessa garantendone la continuità gestionale ed evitando future problematiche successorie.

Il patto di famiglia deve essere concluso per atto pubblico al quale devono partecipare anche il coniuge ed i soggetti che sarebbero legittimari se al momento della stipula si aprisse la successione dell’imprenditore.

Gli assegnatari prescelti, ai quali verrà trasferita l’azienda o le partecipazioni, si devono impegnare liquidare ai soggetti esclusi (i.e. non assegnatari) una somma o dei beni per un valore tale da non ledere la loro quota di legittima (art. 768-quater cod. civ.). Tale previsione è finalizzata alla tutela dei soggetti legittimari che non dovranno essere lesi dal patto di famiglia.

Mediante il patto di famiglia l’imprenditore può scegliere chi, tra i suoi eredi, destinare alla gestione della propria attività facilitando, ed in pratica anticipando, il passaggio generazionale.

Il patto di famiglia è adottabile anche in caso di convivenza more uxorio. Ad ogni modo egli non rientra tra i soggetti che devono partecipare necessariamente al patto ex art. 768 quater cod. civ.. Si tratta, invero, di soggetto al quale, attualmente, non vengono riconosciuti diritti successori ex lege, né, tanto meno, la qualità di erede legittimario, nella successione del convivente.

In conclusione, il patto di famiglia è uno strumento economico ed utile per anticipare il passaggio generazionale dell’impresa e garantire alla stessa una continuità. Questa soluzione potrà essere adottata nei casi in cui l’imprenditore abbia un discendente giudicato idoneo a subentrate nella gestione dell’attività ed a diventare titolare della medesima.

 

VI. Le holding di famiglia

La holding di famiglia è una società detentrice di partecipazioni controllata dai componenti di una stessa famiglia avente lo scopo di: (i) tutelare il patrimonio della famiglia, e (ii) garantire un adeguato passaggio generazionale che consenta di dirimere le tipiche controversie dovute ad una gestione di tipo familiare.

L’attività di holding può essere esercitata attraverso differenti tipologie societarie a seconda delle esigenze di volta in volta riscontrate.

La distinzione fondamentale riguarda la differente responsabilità in capo ai soci in caso di società di persone o società di capitali a prescindere dal requisito della commercialità ex art. 2195 cod. civ. stante la non commercialità dell’attività di mera detenzione di partecipazioni.

Per quanto riguarda le società di persone, la holding familiare può assumere la forma di Società semplice, Società in nome collettivo o Società in accomandita semplice.

La Società semplice (S.s.) offre numerosi vantaggi. In primo luogo permette ai soci un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dei rapporti sia interni che esterni come nella gestione del grado di partecipazione agli utili, non è obbligata alla tenuta delle scritture contabili, le si applica una tassazione per trasparenza e non richiede particolari formalità in sede di costituzione. La Società semplice si espone però ad alcuni limiti quali: la responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sociali ex art. 2267 cod. civ., la possibilità per il creditore personale del socio di chiedere la liquidazione della quota e le difficoltà che si incorano in sede di trasformazione della Società semplice in società commerciale.

La Società in nome collettivo (S.n.c.) e la Società in accomandita semplice (S.a.s.) sono entrambe società di persone aventi natura commerciale con contestuale obbligo di tenuta delle scritture contabili e di obblighi dichiarativi più complessi rispetto alla S.s.. In questo caso i redditi percepiti dalle società figlie sono considerati redditi di impresa sia in capo alla società holding che in capo ai soci. In questo caso il socio persona fisica potrà eventualmente compensare i proventi percepiti con una perdita subita nell’esercizio di un’altra attività imprenditoriale. Sia la S.n.c che la S.a.s. godono di un’ampia marginalità di organizzazione interna ed esterna con l’impossibilità del creditore personale di un socio di chiedere la liquidazione della sua quota finché dura la società. Inoltre, attraverso il meccanismo dalla S.a.s., è possibile pianificare e gestire le dinamiche di passaggio generazionale soprattutto nei casi in cui vi siano dei componenti della famiglia interessati all’amministrazione (i.e. soci accomandatari – illimitatamente responsabili) della società mentre altri ne siano disinteressati (i.e. soci accomandanti – limitatamente responsabili).

Per quanto riguarda le società di capitali, la holding familiare può assumere la forma di Società a responsabilità limitata, Società per azioni o Società in accomandita per azioni.

Senza voler scendere troppo nel particolare, la holding di famiglia costituita in forma di società di capitali si espone indubbiamente a costi di gestione più alti ed a dinamiche gestionali ben più complesse. Per converso, i soci sono limitatamente responsabili per le obbligazioni assunte dalla società, possono affidare l’amministrazione della società a soggetti terzi, adeguando così la governance societaria alle proprie esigenze e possono pianificare la struttura societaria societaria e tributaria in considerazione delle proprie esigenze.

In conclusione, la holding famigliare può essere un utile strumento teso alla conservazione del patrimonio della famiglia, a garantire un adeguato passaggio generazionale e ad una peculiare pianificazione societaria e fiscale. La scelta della tipologia societaria mediante la quale costituire una holding familiare varia profondamente in considerazione delle esigenze della famiglia stessa. Così, ad esempio, nel caso di famiglia composta da pochi soggetti solo una parte dei quali interessati alle dinamiche gestionali, la forma astrattamente più idonea sembrerebbe essere la Società in accomandita semplice. Al contrario, nel caso di famiglia composta da numerosi soggetti e con un considerevole patrimonio che vede la partecipazione anche in società estere, sembrerebbe preferibile la costituzione della holding familiare nella forma di Società per azioni in modo da poter avere una gestione professionale della società ed al contempo ridurre il più possibile i rischi dovuti alle tipiche problematiche connesse alla conduzione familiare.

 

VII. L’intestazione fiduciaria

L’attività d’intestazione fiduciaria viene svolta prevalentemente dalle società fiduciarie. Tale tipologia di società è stata introdotta nel nostro ordinamento dapprima con R.D. 16 dicembre 1926, n. 2214, e successivamente regolamentate dalla L. 23 novembre 1939, n. 1966 (che tuttora le disciplina). Le società fiduciarie devono essere preventivamente autorizzate dal Ministero dello Sviluppo Economico previa la verifica di alcune garanzie in termini di competenza, professionalità, moralità e riservatezza. Esse, dunque, offrono in forma imprenditoriale servizi aventi carattere altamente tecnico-professionale.

Tra i servizi offerti dalle società fiduciarie vi è quello di intestazione fiduciaria. L’intestazione è realizzata mediante il negozio fiduciario che normalmente si articola in due distinti ma collegati atti: (i) il primo ad effetti obbligatori, vincola solamente le parti che lo sottoscrivono (i.e. il fiduciante e la società fiduciaria); (ii) il secondo, avente natura reale ad effetti erga omnes, non comporta il trasferimento della proprietà ma prevede solo l’intestazione del bene e la contestuale legittimazione della società fiduciaria ad esercitare i diritti propri del proprietario.

L’intestazione fiduciaria è di per sé spesso sufficiente ai fini della segregazione patrimoniale del bene innanzi ai creditori del fiduciante o comunque innanzi ai terzi i quali rimangono allo scuro dell’appartenenza del bene al patrimonio del fiduciante.

In conclusione, l’intestazione fiduciaria può essere un istituto duttile ai fini della tutela patrimoniale della famiglia in quanto uno ovvero entrambi i coniugi, i conviventi more uxorio, i figli o i terzi potrebbero intestare fiduciariamente i propri beni ad una società fiduciaria in modo da non farli più risultare nel loro patrimonio. L’intestazione fiduciaria può inoltre coadiuvarsi con l’istituto del fondo patrimoniale, del trust, del patto di famiglia ovvero della holding di famiglia non essendo preclusa la possibilità di intestazione fiduciaria di beni che saranno successivamente, ovvero, sono stati precedentemente, assoggettati ad un vincolo di indisponibilità. L’intestazione fiduciaria è relativamente economica paragonata al trust ovvero alla gestione delle holding famigliari e permette un’attenta e dedicata pianificazione patrimoniale e fiscale anche ai fini del passaggio generazionale dell’impresa.

 

VIII. Conclusioni

Nessuno degli istituti sopra analizzati può definirsi “migliore” o “più sicuro” rispetto agli altri ai fini della segregazione patrimoniale del patrimonio della famiglia e della gestione delle dinamiche connesse al passaggio generazionale nell’impresa.

Ciascuno degli istituti sopra analizzati presenta caratteristiche peculiari che lo caratterizza rispetto agli altri e lo differenzia rendendolo più o meno idoneo alle esigenze di volta in volta riscontrate.

Solo dopo un’attenta analisi della capienza e della qualificazione patrimoniale della famiglia nonché delle esigenze, della qualità dei beni e delle diverse dinamiche familiari sarà possibile propendere più per un istituto rispetto agli altri.

 

Il team Sifir